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Riduzione da: Nessia Laniado, BAMBINI SICURI IN UN MONDO INSICURO, edizioni red, cap. I nuovi valorimarzo 2008 La "Carta della Terra", in italianoUna dichiarazione di principi fondamentali per costruire una società sostenibile per il 21° secolo. Vuole ispirare un senso di interdipendenza e responsabilità condivisa per il benessere della famiglia umana e del più vasto mondo vivente. E' stata commissionata dalle Nazioni Unite in seguito al Summit di Rio del 1992 ed è stata scritta nel 1997. La sede del progetto è l'"Earth Council" in Costa Rica. Le spettacolari immagini riprese dall'alto, dal fotografo francese Yann Arthus-Bertrand marzo 2008 Stiamogli vicino quando esprime le sue emozioni"' 'Qualsiasi tentativo di distrarre un bambino dal piangere sarà
vissuto da lui come una forma di abbandono emotivo’, avverte ancora J.
Bowlby (psicanalista inglese – n.r.). ‘I bambini hanno bisogno di avere
intorno persone che siano capaci di ascoltare e partecipare alle loro
espressioni di rabbia, dolore, paura’. Nessia Laniado – COME RENDERE FELICE UN BAMBINO NEL PRIMO ANNO DI VITA febbraio 2008 Spirito libero"… Forse avete già colto il filo che comune che unisce queste personalità
appartenenti a razze, culture e tempi diversi. Hanno espresso da angolazioni
diverse la più grande esigenza spirituale racchiusa nel cuore di ogni essere
umano: vivere felicemente la vita. Perché non avviene? O meglio: perché non
è avvenuto finora? Ognuno di noi, se vuole, può essere parte della
soluzione: L’universo è fatto di atomi e di molecole ma anche di storie, di
pensieri e di emozioni. Non cessare di sognare, di desiderare e di volere
con tutte le forze fisiche, mentali e spirituali, un mondo migliore. Questa
è l’essenza della filosofia degli Spiriti Liberi. Con AMORE, diventa te stesso.” gennaio 2008 Intelligenza socialeConsapevolezza sociale La
consapevolezza sociale si riferisce a un’ampia gamma di sensazioni:
percezione istantanea dello stato d’animo di un’altra persona,
comprensione dei suoi sentimenti e pensieri, capacità di “afferrare”
situazioni sociali complesse. Essa comprende:
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INTELLIGENZA EMOTIVA |
INTELLIGENZA SOCIALE |
Consapevolezza di sé
Gestione di sé |
Consapevolezza sociale Empatia primaria Attenzione empatica Ascolto Cognizione sociale
Abilità sociale o gestione della relazione |
Alcuni psicologi obietteranno che le capacità che definiscono l’intelligenza sociale da me proposte aggiungono alle definizioni tradizionali di “intelligenza” attitudini che appartengono ai campi non cognitivi. Ma è proprio questa la mia tesi: quando si tratta di intelligenza nella vita sociale, il cervello stesso mescola le capacità. Le doti non cognitive come l’empatia primaria, la sincronia e la sollecitudine sono aspetti fortemente adattativi del repertorio sociale umano per la sopravvivenza. Sono queste capacità che ci permettono di seguire l’insegnamento di Thorndike di “agire con saggezza” nei nostri rapporti…”
Daniel Goleman – INTELLIGENZA SOCIALE
dicembre 2007
Evolvi il tuo cervello
di a cura
di hcibooks
Versione Integrale dell'intervista a Joe Dispenza
apparsa su scienza e conoscenza n 21
C'è un cambiamento di paradigma in corso nella scienza. Nel vecchio
paradigma la coscienza - ciò che siamo - viene considerata un prodotto del
cervello. Nel nuovo la coscienza è il terreno dell'essere e il cervello un
suo "prodotto", una sua manifestazione. E' importante partire da questa
soglia. Dispenza infatti ci guida nell'esplorazione di come il cervello
impara, su come elabora le informazioni e in che modo può diventare
"dipendente" di confortevoli modelli abituali se non sufficientemente
stimolato. Ogni volta che un pensiero o un emozione ci attraversano, il
cervello invia segnali chimici nel corpo [vedi a pag 13 del n°21 le ultime
scoperte sulla paura e l'esperienza del mi piace-non mi piace] che
riproducono quel sentire, spesso seguito da una reazione. Attraverso
prolungate ripetizioni, pensieri e sentimenti autolimitanti possono
diventare abituali producendo assetti mentali fissi, anche quando non più
necessari.
Che cos'è che ti ha ispirato e motivato a scrivere questo libro?
Ciò che mi ha ispirato ad indagare il potere che il cervello possiede di
alterare la nostra vita è stata un'esperienza che ho vissuto vent'anni fa.
Come ho spiegato nel libro, quando un'ampia porzione della mia spina dorsale
venne schiacciata in un incidente ciclistico, quattro chirurgi dissero che
l'unico modo per evitare la paralisi era un'operazione chirurgica che mi
avrebbe lasciato con un'invalidità permanente, e forse anche con una vita
intera di dolore fisico. Fui costretto a prendere la decisione più ardua
della mia vita, ma rifiutai l'operazione e mi rivolsi invece
all'intelligenza innata che dà costantemente la vita a ciascuno di noi.
Dieci settimane più tardi, senza aver subito alcuna operazione, ero di nuovo
al lavoro, completamente guarito e senza dolori. Nel libro indico molti
fattori che hanno contribuito alla mia guarigione. In seguito a
quell'esperienza, mi ripromisi di dedicare più tempo della mia vita allo
studio dei fenomeni del dominio della mente sulla materia e della guarigione
spontanea, intesa come il modo in cui il corpo si autoripara o si libera
della malattia senza ricorrere ad interventi medici tradizionali come
operazioni chirurgiche o farmaci. Così trascorsi molti anni a studiare il
potenziale umano, ossia la capacità di trascendere le nostre limitazioni
personali o di essere loro superiori, e l'interconnessione di cervello,
mente, corpo, e coscienza. Soltanto fino ad alcune decine di anni fa, la
scienza ci aveva portato a credere che fossimo predestinati dalla genetica
ed ostacolati dal condizionamento, e che bisognasse rassegnarsi alla
proverbiale idea che fosse impossibile abbandonare le vecchie abitudini per
impararne di nuove. Tuttavia, quello che ho scoperto studiando il cervello
ed i suoi effetti sul comportamento negli ultimi vent'anni mi ha reso
enormemente fiducioso nei confronti degli esseri umani e della nostra
capacità di cambiare. Avevamo solo bisogno di sapere come fare per cambiare,
ed oggi la neuroscienza spiega in modo fondato come si verifichi il dominio
della mente sulla materia, e questo concetto non è più una speranza
illusoria. La scienza del cambiamento della mente adesso è disponibile, e ho
scritto Evolvi il tuo cervello per contribuire a rendere questa scienza
accessibile a chiunque.
Evolvi il tuo cervello è un libro di auto-aiuto? In che cosa differisce
dagli altri libri sulle potenzialità umane?
Aiutarci a comprendere ed accettare che possiamo davvero modificare il
nostro cervello e cambiare la nostra vita è un obbiettivo centrale in questo
libro. Il mio approccio consiste nell'unificare le più utili tra le nuove
scoperte delle neuroscienze, neurofisiologia, biologia, e genetica,
accrescendo la conoscenza del lettore in maniera sistematica, facilmente
comprensibile, e, si spera, avvincente. Tuttavia, come il libro spiega
chiaramente, la conoscenza dev'essere esperimentata prima di poter diventare
saggezza. Evolvi il tuo cervello è concepito in modo da servire come
strumento pratico per guidarci mentre facciamo esperienza dei processi che
possiamo utilizzare per cambiare la nostra mente ed evolvere il nostro
cervello. A differenza dei manuali di self-help o dei libri sul potenziale
umano che si concentrano sulla mente, sulle emozioni o sul corpo, dedicando
poca attenzione al cervello, questo libro abbraccia la struttura e la
funzione di questo coronamento della nostra evoluzione.
Tutto quello che facciamo accade per mezzo del cervello ? il modo in cui
pensiamo, agiamo, sentiamo, le nostre relazioni, le nostre percezioni del
mondo che ci circonda, ? perché il nostro "sé", come essere senziente è
immerso ed esiste realmente nella rete elettrica del nostro tessuto
cellulare cerebrale. Quindi, poiché non possiamo sperare di evolvere il
nostro cervello senza cambiare la nostra mente e comprendere il ruolo delle
nostre sensazioni e sentimenti, nel libro esploro il modo in cui tutto ciò
interagisce con il corpo per creare la nostra vita.
Molti di noi hanno imparato a scuola che quando si diventa adulti, il
cervello diviene statico e rigido. Quanto è nelle nostre mani, nelle nostra
potenzialità per cambiare i circuiti cerebrali?
A chi andava a scuola 20 o 30 anni fa veniva insegnato che i circuiti
del cervello sono permanenti, ovvero che quando raggiungiamo l'età adulta
abbiamo un certo numero di cellule cerebrali organizzate in schemi o
circuiti neurali fissi, e man mano che invecchiamo li perdiamo. Pensavamo
che sotto molti punti di vista saremmo inevitabilmente diventati come i
nostri genitori, poiché potevamo usare soltanto alcuni schemi neurali
ereditati geneticamente da loro. I neuroscienziati adesso ci dicono che
questo è un errore. La grande notizia è che ciascuno di noi è un lavoro in
corso per tutta la vita. Ogni volta che abbiamo un pensiero, in diverse aree
del nostro cervello il flusso di corrente elettrica aumenta di intensità e
rilascia una fiumana di sostanze neurochimiche, troppo numerose da elencare.
Grazie alla tecnologia della risonanza magnetica funzionale del cervello,
ora siamo in grado di vedere che ogni nostro pensiero ed esperienza induce
le nostre cellule cerebrali, o neuroni, a collegarsi e scollegarsi in schemi
e sequenze continuamente diversi. Di fatto, possediamo una facoltà naturale
chiamata neuroplasticità, che significa che se impariamo nuove conoscenze e
facciamo nuove esperienze, possiamo sviluppare nuove reti o circuiti di
neuroni, e letteralmente cambiare le nostre idee e la nostra mente.
Quindi, perché è poi così difficile cambiare?
Tanto nella mia pratica quanto nella mia vita personale, ho constatato che
cambiare non è facile. Quando una persona vuole dedicarsi ad uno scopo parte
con buone intenzioni e buone idee, ma molto spesso ritorna alle proprie
abitudini indesiderate. Il significato del concetto di cambiamento è che
faremo qualcosa di diverso all'interno dello stesso ambiente; non
risponderemo all'ambiente con i nostri soliti pensieri e con le nostre
solite reazioni. Tuttavia, ciò è più facile a dirsi che a farsi. Molti di
noi hanno la tendenza a pensare gli stessi pensieri, ad avere le stesse
sensazioni e gli stessi sentimenti, ed a seguire la stessa routine. Il
problema è che questo ci porta ad usare sempre gli stessi schemi e le stesse
combinazioni di circuiti neurali, che tendono a collegarsi in modo
permanente. È così che creiamo abitudini di pensiero, di sensazione, e di
azione. Non fraintendetemi, un collegamento permanente non è una cosa
negativa: grazie ai collegamenti permanenti, quando impariamo una nuova
arte, come guidare l'automobile, quanto più la esercitiamo tanto più
colleghiamo permanentemente quello che impariamo nei circuiti del nostro
cervello, finché non diventiamo capaci di far funzionare un'automobile
automaticamente. Ma se vogliamo cambiare qualcosa nella nostra vita,
dobbiamo fare in modo che il cervello non si attivi più secondo le solite
vecchie sequenze e combinazioni. Dobbiamo creare un nuovo livello di mente
scollegando i vecchi circuiti neuronali e ricollegando le cellule nervose
secondo nuovi modelli. La buona notizia che apprendiamo dalle ultime
ricerche è che possiamo cambiare il cervello ed in tal modo cambiare noi
stessi, facendo soltanto alcuni semplici passi.
Evolvi il tuo cervello è nato per accompagnare gradualmente il lettore
attraverso la conoscenza ed i passi operativi necessari a cambiare qualunque
area della vita.
Qual è l'effetto dello stress sul corpo? In che modo tali passi possono
aiutare gli individui a superare lo stress?
In qualità di chiropratico, ho constatato personalmente gli effetti dello
stress sui miei pazienti. Non sono i brevi episodi di stress acuto ad
indebolire maggiormente il corpo bensì lo stress cronico, a lungo termine.
Per la maggior parte di noi è raro trovarsi di fronte alle minacce immediate
della sopravvivenza fisica che i nostri antenati dovevano fronteggiare,
quindi può darsi che non riusciamo a renderci conto dell'impatto che hanno
su di noi tutti gli anni trascorsi nella preoccupazione per la sicurezza del
lavoro, i debiti, o all'idea che i nostri figli possano provare delle
droghe, e via dicendo. Quando viviamo cronicamente in una modalità di stress
elevato, o stiamo costantemente all'erta verso eventuali problemi che prima
o poi potrebbero avere un effetto su di noi, continuiamo a mantenere attiva
la risposta di emergenza allo stress del corpo. E perché questo è un
problema così grave? Le sostanze chimiche, che ci attraversano senza tregua
quando siamo sottoposti a stress a lungo termine, sono i colpevoli che
iniziano ad alterare il nostro stato interno innescando il deterioramento
cellulare. Inoltre, quando siamo sempre all'erta o in modalità di emergenza,
il corpo non ha il tempo né le risorse necessarie a ripararsi e rigenerarsi.
Il corpo può persino diventar dipendente dalla condizione chimica
dell'essere sotto stress; ma come dimostreremo, la capacità di superare lo
stress ha sede esattamente tra le nostre orecchie. La maggior parte dello
stress finisce per diventare stress emozionale/psicologico, e questo
significa che è l'autosuggestione del nostro stesso modo di pensare che
influenza il corpo così intensamente. In altre parole, i nostri pensieri da
soli sono sufficienti ad attivare la risposta di stress, ed essi possono
avere gli stessi effetti misurabili di qualsiasi altro agente di stress
presente come minaccia nel nostro ambiente. Nel libro affronto i passi per
imparare a vincere i pensieri che innescano le risposte di stress.
Tale evoluzione del cervello può aiutare le persone a superare le proprie
dipendenze emozionali?
Oltre a trattare le infermità fisiche, il metodo illustrato intende anche
affrontare il disturbo costituito dalla dipendenza emozionale, che
accompagna sempre i livelli elevati di stress nella nostra vita. Tutti
abbiamo fatto esperienza della dipendenza emozionale a un certo punto della
nostra vita. Tra i suoi sintomi si annoverano letargia, mancanza di capacità
di concentrazione, un tremendo desiderio di routine nella nostra vita
quotidiana, l'incapacità di completare cicli di azione, mancanza di
esperienze e risposte emozionali nuove, e la sensazione costante che ogni
giorno sia uguale ai successivi. Quella che una volta non era che teoria
scientifica adesso ci offre delle applicazioni pratiche per guarire le
ferite emozionali che ci siamo inflitti da soli. I metodi che suggerisco non
sono una terapia miracolistica di self-help, basata sul desiderio
utopistico: rassicuratevi, questo libro è fondato sulla scienza
d'avanguardia. Come si può por termine a questo ciclo di negatività? La
risposta, naturalmente, è dentro di voi; e in questo caso, dentro una parte
molto specifica di voi stessi. Se comprenderete i diversi temi che
esploreremo in questo libro e sarete disposti ad applicare alcuni principi
specifici, potrete raggiungere da soli la guarigione emozionale alterando il
reticolo neuronale del vostro cervello.
Puoi spiegare la connessione mente/corpo? Qual è la relazione esistente
tra i pensieri ed il corpo fisico?
C'è un campo emergente della scienza chiamato psiconeuroimmunologia che sta
dimostrando la connessione tra la mente ed il corpo, aiutandoci a
comprendere il legame tra il modo in cui pensiamo ed il modo in cui
sentiamo. Adesso sappiamo che ogni nostro pensiero produce una reazione
biochimica nel cervello. Il cervello quindi rilascia segnali chimici che
vengono trasmessi al corpo, dove agiscono come messaggeri del pensiero. In
questo modo, i pensieri che producono queste sostanze chimiche nel cervello
permetto al nostro corpo di sentire esattamente nello stesso modo in cui
stavamo pensando. Essenzialmente, quando abbiamo dei pensieri felici,
ispiratori, o positivi, il nostro cervello produce delle sostanze chimiche
che ci fanno sentire gioiosi, ispirati, o elevati. Ad esempio, quando
desideriamo impazientemente di fare un'esperienza piacevole, il cervello
produce immediatamente un neurotrasmettitore chiamato dopamina che attiva il
cervello stesso e il corpo nell'anticipazione di quell'esperienza, e noi ci
sentiamo eccitati. Se abbiamo pensieri di odio, rabbia, o insicurezza, il
cervello produce sostanze chimiche a cui il corpo risponde in maniera
corrispondente, e così ci sentiamo pieni di odio, irati, o indegni. Un'altra
sostanza chimica prodotta dal nostro cervello, chiamata ACTH, segnala al
corpo che per le ghiandole surrenali è il momento di produrre le secrezioni
chimiche che ci fanno sentire minacciati o aggressivi. Quando il corpo
risponde ad un pensiero suscitando una sensazione, il cervello, che tiene
costantemente sotto monitoraggio continuo la condizione del corpo, constata
che il corpo si sente in un certo modo. In risposta a quella sensazione
corporea, il cervello genera pensieri che producono i corrispondenti
messaggeri chimici, e di conseguenza iniziamo a pensare come sentiamo. Il
pensiero crea sensazione, e a sua volta la sensazione produce pensiero, in
un continuo feedback biologico. Alla fine questo ciclo crea un particolare
stato del corpo, o uno stato d'essere, che determina la natura generale del
nostro sentire e del nostro comportamento. Ad esempio, se qualcuno vive
molto tempo della propria vita in un ciclo ripetitivo di pensieri e
sensazioni collegate all'indegnità, nel momento in cui pensa di non essere
abbastanza bravo o intelligente o altro, il suo cervello rilascia sostanze
chimiche che producono una sensazione fisica di indegnità, e il modo in cui
questa persona si sente adesso corrisponde al modo in cui stava pensando. Il
suo cervello ne prende atto, e lei inizia ad avere pensieri di insicurezza
che corrispondono al modo in cui si stava sentendo. Adesso il suo corpo la
sta spingendo a pensare. Se i suoi pensieri e le sue sensazioni continuano,
anno dopo anno, a generare il medesimo feedback cervello-corpo, questa
persona vivrà in uno stato d'essere definito "indegnità". Questi segnali
chimici ripetuti inducono le cellule del corpo a funzionare in modi non
desiderabili, rendendoci malati. Così si inizia a capire come la mente possa
fisicamente modificare il corpo. Nel libro porto l'esempio di un uomo che ho
chiamato Tom, il quale aveva sviluppato un disturbo digestivo dopo l'altro.
Alla fine questo lo condusse ad esaminare la propria vita, e così si rese
conto che aveva continuato a reprimere le sensazioni di rabbia e
disperazione che gli derivavano da un lavoro che lo rendeva infelice; la sua
mente era presa in un feedback di pensieri e sensazioni corrispondenti ad
atteggiamenti tossici che il suo corpo non poteva semplicemente "digerire".
Tom viveva continuamente in uno stato d'essere che ruotava intorno al
vittimismo. La sua guarigione ebbe finalmente inizio quando prestò
attenzione ai pensieri abituali rendendosi conto che i suoi atteggiamenti
inconsci erano il fondamento della persona che era divenuto. Esistono molte
prove scientifiche che indicano l'effetto diretto che la mente ha sul corpo
sia nel senso buono che in quello cattivo. La ricerca dimostra che ci
ammaliamo attraverso la pura e semplice anticipazione di un evento futuro o
il ricordo di un'esperienza passata; in entrambi i casi, sono i nostri
pensieri che creano potenti sostanze chimiche stressanti che vanno ad
alterare la maggior parte dei sistemi corporei. Quindi quello a cui pensiamo
e l'intensità di questi pensieri influenza direttamente la nostra salute, le
scelte che facciamo, e la qualità della nostra vita.
Che cos'è, dunque, la mente, e in quale relazione si trova con il
cervello?
Adesso che siamo in possesso della tecnologia per osservare un cervello
vivo, sappiamo dalle scansioni funzionali del cervello che la mente è il
cervello in azione. Questa è la definizione più recente di mente, secondo le
neuroscienze. Quando un cervello è vivo ed attivo, può elaborare il
pensiero, imparare nuove informazioni, inventare nuove idee, padroneggiare
abilità, rievocare ricordi, esprimere sentimenti, raffinare movimenti, e
garantire il funzionamento regolare del corpo. Il cervello animato può anche
rendere possibile il comportamento ed il sogno, percepire la realtà e, più
importante di tutto, abbracciare la vita. Perché la mente possa esistere, il
cervello dev'essere vivo. Il cervello pertanto non è la mente, ma l'apparato
fisico attraverso cui la mente viene prodotta. Il cervello rende possibile
la mente. Possiamo pensare al cervello come ad un complicato sistema di
elaborazione dati che in caso di bisogno ci mette in grado di raccogliere,
elaborare, immagazzinare, rievocare, e comunicare informazioni nel giro di
pochi secondi, come anche di prevedere, ipotizzare, rispondere, esprimere un
comportamento, pianificare, e ragionare. Il cervello è anche il centro di
controllo attraverso cui la mente coordina tutte le funzioni metaboliche
necessarie alla vita ed alla sopravvivenza. E così quando il vostro computer
biologico è "acceso" o vivo, e funziona elaborando informazioni, esso
produce la mente. Il cervello possiede tre strutture anatomiche individuali
mediante cui produce i diversi aspetti della mente. Siamo anche dotati di
una mente conscia ed una mente inconscia, entrambe derivanti da un cervello
che coordina gli impulsi del pensiero attraverso le sue varie regioni e
strutture. Di conseguenza, poiché possiamo facilmente far sì che il cervello
operi in modi diversi, esistono diversi stati mentali.
Che cos'è la neuroplasticità?
La neuroplasticità è la nostra capacità naturale di modificare il modo in
cui i neuroni cerebrali sono collegati ed organizzati in circuiti, che noi
definiamo connessioni sinaptiche del cervello. Ogni volta che impariamo
qualcosa di nuovo o facciamo una nuova esperienza, il cervello crea nuove
connessioni sinaptiche per formare nuovi schemi o reti neurali; e questo
avviene a qualsiasi età. Quando utilizziamo nuovi circuiti in nuovi modi,
modifichiamo la rete neurale del cervello perché si attivi secondo nuove
sequenze. Da un livello neurologico, quindi, noi veniamo cambiati un istante
dopo l'altro dai pensieri che abbiamo, dalle informazioni che apprendiamo,
dagli eventi che sperimentiamo, dalle reazioni che abbiamo, dalle sensazioni
e sentimenti che creiamo, dai ricordi che elaboriamo, e persino dai sogni
che abbracciamo. Tutte queste cose alterano il modo in cui il cervello
opera, producendo nuovi stati mentali che vengono registrati nel nostro
cervello. La neuroplasticità è una caratteristica genetica innata ed
universale degli esseri umani. Essa ci concede il privilegio di imparare
dalle esperienze fatte nel nostro ambiente, così da poter cambiare le azioni
e modificare il nostro comportamento, i processi di pensiero, e la nostra
personalità per produrre esiti più desiderabili. Il semplice apprendimento
di informazioni intellettuali non è sufficiente; dobbiamo applicare ciò che
impariamo per creare un'esperienza diversa. Se non potessimo cambiare le
connessioni sinaptiche del nostro cervello, non potremmo cambiare in
risposta alle nostre esperienze. Senza la capacità di cambiare non potremmo
evolvere, e non saremmo altro che l'effetto delle nostre predisposizioni
genetiche. In quale misura il nostro cervello sia neuroplastico dipende
dalla capacità di cambiare la percezione del mondo che ci circonda per
cambiare la nostra mente, per cambiare noi stessi, il nostro sé.
Che cosa vuol dire provare e riprovare mentalmente, e come possiamo
servirci di tale ripetizione mentale per cambiare? Provare e riprovare
mentalmente come fa un attore ci permette di cambiare il nostro cervello,
creando un nuovo livello mentale, senza far nulla di fisico che non sia
pensare. La ripetizione mentale implica il vedere e sperimentare mentalmente
il nostro "sé" mentre dimostra o pratica un'arte, un'abitudine o uno stato
d'essere a nostra scelta, e possiamo servircene per impiegare le facoltà
avanzate del nostro lobo frontale al fine di compiere cambiamenti
significativi nella nostra vita. Diversi studi hanno dimostrato che il
cervello non conosce la differenza tra ciò che pensa internamente e ciò che
sperimenta nell'ambiente esterno. Nel corso di un esperimento, a due gruppi
di persone che non erano capaci di suonare il pianoforte venne richiesto di
imparare degli esercizi di piano per una sola mano e di eseguirli per due
ore al giorno per cinque giorni, con un'importante differenza: un gruppo
eseguiva gli esercizi, mentre l'altro ripeteva mentalmente gli stessi
esercizi senza usare le dita. Alla fine dei cinque giorni, dalle scansioni
cerebrali risultò che entrambi i gruppi avevano sviluppato la stessa
quantità di circuiti cerebrali nuovi. Com'è possibile una cosa del genere?
Noi sappiamo che quando pensiamo gli stessi pensieri o compiamo le stesse
azioni più e più volte, stimoliamo ripetutamente specifiche reti di neuroni
in particolari aree del nostro cervello. Come risultato, realizziamo
connessioni più forti e ricche tra questi gruppi di cellule nervose. Questo
concetto nella neuroscienza è chiamato apprendimento di Hebbian. L'idea è
semplice: le cellule nervose che si accendono insieme, si conettono tra
loro. Secondo le scansioni funzionali del cervello di questo particolare
esperimento, i soggetti che provavano e riprovavano mentalmente erano così
focalizzati interiormente che il loro cervello non distingueva la differenza
tra il mondo interno e quello esterno. Così essi attivavano il cervello
proprio come se stessero effettivamente suonando il piano; in pratica, i
loro circuiti cerebrali si rafforzavano e si sviluppavano nella stessa area
del cervello del gruppo che si esercitava fisicamente.
Affermi anche che il pensiero non è sufficiente a cambiare la nostra
mente, e che il cambiamento è un processo di pensiero, azione, ed essere.
Puoi spiegare come funziona?
Il cambiamento che vogliamo compiere deve andare al di là del pensiero e
addirittura del fare; dobbiamo arrivare fino al livello ultimo, quello
dell'essere. Se voglio veramente essere un pianista, inizierò con
l'acquisire conoscenza, che implica il pensiero. Allora potrò iniziare ad
acquisire esperienza attraverso la ripetizione mentale, che implica di nuovo
il pensiero. Ma è anche necessario coinvolgere il corpo nell'atto di fare,
ovvero dimostrare fisicamente quello che si è imparato, suonando il piano.
Ma anche questo non ci porta lontano. Immaginate una pianista che dà il suo
meglio nelle sessioni di pratica, ma si trova in difficoltà nei concerti.
Oppure, facendo un esempio più vicino a noi, immaginate una persona che sia
un modello di giudizio mentre torna a casa dal lavoro, ma perde la pazienza
e degenera in un broncio di impazienza non appena il coniuge compare sulla
porta. Se voglio raggiungere lo stato in cui sono un pianista, la mia
comprensione evoluta e la mia arte devono diventare così integrate in una
rete neurale permanente e così mappate nel mio cervello che non mi servirà
neanche più pensare consciamente a suonare, poiché sarà la mia mente
subconscia a gestire quell'abilità. Adesso che sono un pianista, ogni mio
pensiero che riguardi il suonare, o desiderio di esprimere i miei sentimenti
mediante la musica, attiverà automaticamente il mio corpo perché esegua il
compito di suonare il piano. In Evolvi il tuo cervello parlo diffusamente di
come noi utilizziamo diversi tipi di memoria, attivando diverse parti del
cervello, per trasformare i pensieri consci in pensieri subconsci.
Apprendiamo anche che per padroneggiare qualsiasi arte è necessario
possedere una gran quantità di conoscenza su un determinato soggetto,
ricevendo istruzioni al riguardo da chi è competente in merito, e facendo
una gran quantità di esperienze che ci procurino un riscontro. Tutti noi
passiamo dal pensare al fare e all'essere ogni volta che apprendiamo un'arte
talmente bene da poterla eseguire con estrema naturalezza. Guidare è un
grande esempio. La bellezza di questo processo è che possiamo servircene per
raggiungere qualsiasi stato d'essere a nostro piacimento, dal dimostrarsi
più pazienti con i nostri bambini, all'essere ricchi, o felici.
Che cos'è l'evoluzione e come possiamo evolvere il nostro cervello?
Noi evolviamo come specie e come individui. Di fatto, la nostra
evoluzione personale fa progredire anche la specie umana. La maggior parte
di noi ha imparato a scuola che l'evoluzione è il processo lento, lineare
per mezzo del quale le specie sopravvivono ai cambiamenti del loro ambiente
attraverso l'adattamento nel corso delle generazioni, sviluppando
un'anatomia ed una fisiologia specializzate che le aiutano a perpetuarsi. Il
cervello umano è evoluto in maniera lineare fino a 250.000 anni fa, quando
(per ragioni che rimangono misteriose) un improvviso periodo di crescita
esplosiva ci fornì di una neocorteccia molto più ampia e densa di quella di
qualsiasi altra specie. Questo cosiddetto nuovo cervello è la sede della
nostra consapevolezza conscia; esso ospita la nostra capacità di apprendere
e di ragionare, ed il nostro libero arbitrio di creare. In termini semplici,
la nostra neocorteccia, e particolarmente il lobo frontale, ci forniscono la
possibilità di trascendere il processo di evoluzione graduale per passare ad
un'evoluzione rapida, non lineare. Grazie alla possibilità di imparare dalla
conoscenza, dalle nostre esperienze, e soprattutto dai nostri errori, e
disponendo di diverse forme specializzate di memoria attraverso cui possiamo
ricordare ciò che impariamo, possiamo immediatamente modificare i nostri
pensieri ed il nostro comportamento. A differenza di altre specie, quindi,
noi creiamo una gamma completamente nuova di esperienze in un'unica vita, e
possiamo poi trasmettere quanto abbiamo appreso alla nostra discendenza ed
agli altri membri della nostra specie. In termini di cervello, evoluzione
significa apprendere, creare nuove connessioni sinaptiche, mantenerle, ed
applicare quanto abbiamo appreso per poter fare una nuova esperienza, che
viene poi codificata nel cervello. Quanto viene presentato da Evolvi il tuo
cervello è un processo che può indurre il cervello a compiere un salto
quantico, superando certi circuiti neurali che ci sono stati trasmessi
genericamente, e codificando nuove esperienze ed informazioni. Quando
evolviamo al di là degli stati di sopravvivenza primitivi codificati nei
circuiti permanenti del nostro cervello, accendiamo nuovi pensieri (che
producono nuove sostanze chimiche), cambiamo le nostre idee (il che altera i
messaggi chimici diretti al nostro corpo) e modifichiamo il nostro
comportamento (creando un'esperienza del tutto nuova, e facendo così
intervenire nuove sostanze chimiche che influiscono sulle nostre cellule),
siamo sul cammino dell'evoluzione. Tutti abbiamo determinate abitudini e
tendenze, sia ereditate geneticamente che ricevute attraverso il
condizionamento dell'ambiente che ci circonda. L'evoluzione personale ci
richiede di troncare l'abitudine di essere noi stessi e di diventare più
grandi del nostro ambiente. Noi evadiamo dalla nostra routine e dalle
reazioni e comportamenti emozionali abituali apprendendo nuove conoscenze e
facendo nuove esperienze. Nei primi stadi dell'apprendimento, ci
confrontiamo con la novità. In seguito vi sono dei periodi in cui rivediamo
ed interiorizziamo i nuovi stimoli, mentre iniziamo a renderli familiari o
noti. Entro il termine di ogni processo di apprendimento, qualunque
comportamento o compito appreso può diventare routine, o addirittura
automatico. La nostra capacità di processare ciò che è sconosciuto
trasformandolo in conosciuto, ciò che non è familiare in familiare, ciò che
è nuovo in routine, è la strada per la nostra evoluzione personale.
I programmi o le scuole di saggezza sono necessari per evolvere il nostro
cervello?
In Evolvi il tuo cervello, delineo un semplice processo di acquisizione
della conoscenza: ottenere delle istruzioni, applicare ciò che abbiamo
appreso, e ricevere un riscontro; è in questo modo che evolviamo il nostro
cervello. Passiamo dal pensare al fare e all'essere. Questo processo
sequenziale ci consente di cambiare. Se vogliamo evolvere nel modo più
efficace io raccomando, e ne ho constatato l'importanza nella mia esperienza
personale, di trovare delle istruzioni che provengano da chi è diventato
maestro di ciò che vogliamo imparare. Esistono molti eccellenti individui,
programmi, ed istituzioni, alcuni dei quali sono menzionati in questo libro,
che possono aiutarci ad acquisire nuove informazioni, applicare quello che
abbiamo appreso, fare nuove esperienze, ed iniziare a modificare il nostro
comportamento. Ogni persona deve decidere per conto proprio se per lei sia
più adatto incominciare con piccoli cambiamenti, o facendo salti
giganteschi. Nel libro dico diverse volte che la mia istruzione personale ha
incluso 17 anni come studente della Scuola di Illuminazione di Ramtha nel
Nordovest del Pacifico, e che ho insegnato in quella scuola per sette anni
circa. Chi ha interessi per la crescita spirituale o personale che vanno al
di là delle convenzioni potrà consultare i programmi di addestramento, i
libri, e l'altro materiale illustrativo sulla RSE; nella mia bibliografia ho
incluso le informazioni riguardanti i contatti.
Joe Dispenza© 2007 per gentile concessione
hcibooks è la casa editrice che ha pubblicato il libro in lingua originale -
kimw@hcibooks.com
Chi è Joe Dispenza, D.C
Ha studiato biochimica alla Rutgers University del New Brunswick, N.J. Ha
ricevuto il dottorato con magna lode in chiropratica alla Life University di
Atlanta, Georgia,. Di seguito ha continuato attraverso master successivi la
sua formazione in neurologia, neurofisiologia e il funzionamento del
cervello.
E' uno tra I 14 scienziati, ricercatori e insegnanti che ha preso parte al
multipremiato film "What the Bleep Do We Know!?"TM. Dr. Joe è stato uno
studente della RSE (Ramtha's School of Enlightenment) una scuola
contemporanea di antica saggezza situata negli USA, dove ha imparato a
creare la sua giornata è ha personalmente sperimentato come il cervello, la
coscienza e l'intenzione lavorino insieme per creare la realtà nelle sue
innumerevoli forme sia che si tratti di un giorno, un evento, un oggetto, o
un futuro.
La sua nuova serie di DVD, Your Immortal Brain, guarda ai vari modi con cui
è possibile usare il cervello umano ai fini di creare la realtà grazie alla
padronanza dei pensieri.
Su
http://www.scienzaeconoscenza.it/articolo.php?id=12787
novembre 2007
La legge di
attrazione dice che i simili si attraggono, ma in realtà si sta parlando a
livello di pensiero.
“Quando lo vedi nella tua mente, ce l’hai a portata di mano”
L’effetto placebo è un esempio di legge di attrazione: quando un paziente
crede veramente che la pastiglia costituisca una cura, riceve quello che
crede e viene curato!
La legge di attrazione è una legge di Natura; è impersonale e non fa
distinzione tra cose buone e cattive: capta i nostri pensieri e ce li
trasmette come esperienze di vita.
Quello che noi pensiamo poi lo viviamo!
Quando pensiamo a cose che vogliamo veramente concentriamo su di
esse tutte le nostre intenzioni, e la legge di attrazione darà esattamente
quello che abbiamo desiderato. Ma quando focalizziamo la nostra
attenzione sulle cose che non vogliamo (“non voglio fare tardi”, “non
voglio ammalarmi”, “non voglio morire”, ecc.) la legge di attrazione non
presterà ascolto al fatto che non le vogliamo, ma procurerà le cose che
stiamo pensando, e infatti poi si verificheranno puntualmente.
La legge di attrazione non tiene conto dei “no”, dei “non” o qualsiasi
altra negazione.
Per esempio:
“Non voglio fare tardi”
à “voglio fare tardi”
“Non voglio ammalarmi”
à “voglio ammalarmi”
“Non voglio litigare”
à “voglio litigare”
La legge di attrazione ci dà quello a cui stiamo pensando!
I
pensieri
I pensieri
diventano le cose che si concretizzano nella vita.
I pensieri in pratica si trasformano in cose reali!
Mentre si pensa, i pensieri vengono proiettati nell’Universo e attraggono
magneticamente tutte le cose simili che si trovano sulla medesima
frequenza.
Tutto quello che viene emesso fa ritorno alla sorgente, e la sorgente
siamo noi!
IL PROCESSO CREATIVO
1° passo: CHIEDI
Diamo un
ordine all’Universo, facciamogli sapere che cosa vogliamo. L’Universo
reagirà ai nostri pensieri, ma se non abbiamo le idee chiare la legge di
attrazione non potrà portare quello che vogliamo!
2° passo:
CREDI
Crediamo che
ciò che vogliamo sia già nostro!
Dobbiamo credere di aver ricevuto quello che abbiamo chiesto. Dobbiamo
sapere che ciò che vogliamo è nostro nel momento in cui lo chiediamo.
Necessità una fede totale e assoluta.
Nel momento in cui chiediamo, e crediamo sapendo di avere già a livello
invisibile quello che vogliamo, l’intero Universo si muove per portarlo
anche a livello visibile, cioè reale.
Dobbiamo agire, parlare e pensare come se lo stessimo ricevendo
ora,
perché l’Universo è uno specchio e la legge di attrazione ci rimanda
l’immagine dei nostri pensieri dominanti.
3° passo:
RICEVI
Cominciamo a
sentirci meravigliosamente bene all’idea di ricevere quello che abbiamo
chiesto. Immaginiamo e viviamo come ci sentiremo quando arriverà, ma
immaginiamolo adesso, in questo momento!
Quando abbiamo chiesto, crediamo di averlo ricevuto e tutto quello che
resta da fare per averlo è sentirsi bene. Quando stiamo bene siamo sulla
frequenza dell’accoglienza, siamo sulla frequenza che fa arrivare tutte le
cose buone e riceveremo quello che abbiamo chiesto.
Quando sentiamo di averlo già e la sensazione è così reale che ti
sembra di esserne già in possesso, credi di averlo ricevuto e lo
riceverai!
Se crediamo a qualcosa solo a livello intellettuale, ma senza il supporto
di un’emozione corrispondente, è inevitabile che abbiamo abbastanza forza
per attrarre ciò che vogliamo nella vita. Dobbiamo sentirlo!
“Tutto quello
che voi chiederete pregando,
credete di averlo già ottenuto e vi avverrà”
[
Matteo 11:24 ]
La gratitudine
La
gratitudine è senz’altro il sistema migliore per far arrivare più cose
nella nostra vita.
La pratica della gratitudine è una delle vie attraverso le quali arriva la
ricchezza, qualsiasi essa sia.
Quando ringraziamo come se avessimo già ricevuto quello che volevamo,
trasmettiamo un potente segnale all’Universo. Il segnale comunica che
possediamo già quella cosa, dato che proviamo gratitudine per il fatto di
averla.
Ogni mattina proviamo gratitudine per la giornata che ci aspetta, come se
l’avessi già vissuta!
“Realizziamo
qualunque cosa pensiamo e per la quale esprimiamo gratitudine”
Dottor John Demartini
Il processo di visualizzazione
Il motivo per
cui la visualizzazione è così efficace dipende dal fatto che creiamo nella
mente delle immagini in cui ci vediamo già in possesso di quello che
vogliamo, dando origine a pensieri e sensazioni ed emozioni che proveremo
se quella cosa fosse nostra.
La visualizzazione è un pensiero focalizzato con intensità sulle immagini,
e per questo produce emozioni ugualmente intense. La visualizzazione invia
questa intensa frequenza all’Universo che risponde restituendo le immagini
come le abbiamo viste nella mente.
“Decidi cosa vuoi avere. Credi di poterlo avere. Credi di meritartelo e di averlo a portata di mano. Poi chiudi gli occhi per qualche minuto e visualizzati in possesso di quello che vuoi, prova le sensazioni che avresti se fosse già tuo. Esci dalla visualizzazione e concentrati sulla gratitudine che già provi, e goditi davvero il possesso di quella cosa. Poi riprendi le tue attività normali e affida tutto all’Universo, confidando nel fatto che saprà come farti avere ciò che vuoi”. Jack Canfield
Neville Goddard consiglia un metodo di riflettere sugli eventi della giornata prima di andare a letto. Se un avvenimento o un momento non andato secondo i tuoi desideri, ripetilo mentalmente in un modo che ti entusiasmi. Ricreando quegli episodi nella tua mente proprio come li vuoi, ripulisci la frequenza dall’energia di quella giornata ed emetti un nuovo segnale e una nuova frequenza per l’indomani: hai così creato nuove immagini per il tuo futuro.
“L’immaginazione è tutto. E’ l’anteprima delle attrazioni che la
vita ci riserva”
Albert Einstein (1879-1955)
Il segreto
della salute
Il nostro
corpo è il prodotto dei nostri pensieri.
Pensare alla salute perfetta è qualcosa che chiunque di noi può fare a
livello interiore, indipendentemente da quello che ci succede intorno e
all’esterno.
La nostra fisiologia crea la malattia per darci un feedback, per farci
sapere che abbiamo una prospettiva sbilanciata o che in quel momento non
proviamo amore e gratitudine.
I segnali e i sintomi fisici in questa ottica non sono così terribili.
L’amore e la gratitudine dissolvono ogni negatività nella nostra vita.
Il riso attrae la gioia, elimina la negatività e produce cure miracolose.
“Non c’è posto per la malattia in un corpo sano dal punto di vista emozionale. Il tuo corpo elimina milioni di cellule al secondo e nello stesso tempo ne crea milioni di nuove”. Bob Proctor
La scienza ha dimostrato che il nostro corpo viene completamente sostituto nel giro di pochi anni, com’è possibile allora che quella particolare degenerazione o malattia vi rimanga per anni? Può essere trattenuta nel nostro corpo solo dal pensiero, dall’osservazione della malattia e dall’attenzione che le si presta.
Formulare
pensieri di protezione
Formuliamo
pensieri di protezione. Non c’è posto per la malattia in un corpo dotato
di pensieri armoniosi. I pensieri imperfetti sono causa di tutte le
disgrazie dell’umanità, compresa la malattia, la povertà e l’infelicità.
“Formulo pensieri perfetti. Vedo solo perfezione. Io sono la perfezione”
Se abbiamo una malattia e ci concentriamo su di essa parlandone agli
altri, finiamo per produrre altre cellule malate. Immaginiamo di vivere in
un corpo perfettamente sano.
Parlare in continuazione della malattia alla gente, significa pensarci
sempre.
La causa
della malattia sta nel pensiero per cui è bene ripetere spesso: “Sto
magnificamente. Mi sento proprio bene”, e senti che è davvero così.
Quando le persone si concentrano completamente su ciò che non va e sui
loro sintomi, non fanno altro che perpetuare quella situazione. La
guarigione non avverrà finché non avranno spostato l’attenzione della
malattia alla salute. Così funziona la legge di attrazione.
Non dobbiamo lottare per liberarci dalla malattia, già il semplice lasciar
andare i pensieri negativi consentirà al nostra naturale stato di salute
di emergere dentro di noi. E il nostro corpo provvederà alla guarigione.
La Mente
universale Unica
La meccanica quantistica lo conferma, e anche la cosmologia quantistica:
L'Universo nasce dal pensiero e tutta la materia da cui siamo
circondati è semplicemente pensiero precipitato. In definitiva siamo
la fonte dell'Universo (...)
Quindi il tipo di corpo in termini di salute e il tipo di ambiente che
creiamo dipende da come usiamo questo potere, se in modo positivo o
negativo.
Sii
consapevole dei tuoi pensieri
Tutto il potere risiede nella consapevolezza di esserne dotato e consiste
nel continuare a esserne cosciente
Come si fa a diventare più consapevoli? Un metodo è quello di
fermarti
e chiederti: "Che cosa sto pensando in questo momento? Quali sono le
mie sensazioni adesso?" Nell'istante in cui te lo chiedi sei
consapevole, perché hai portato la tua mente al momento presente.
Ogni volta che ci pensi, fà in modo di tornare alla consapevolezza del qui
e ora. Fallo centinaia di volte al giorno perché, ricordatelo bene, tutto il potere è racchiuso nel tuo esserne consapevole.
"La verità assoluta è che 'l'Io' è perfetto e completo;
il vero 'Io' è spirituale e quindi non può mai essere meno che perfetto;
non può mai soffrire di mancanze, limitazioni o malattie"
Charles Haanel (1866-1949)
Tratto da Ronda Byrne, The Secret-Il Segreto – Macro Edizioni
Ottobre 2007
L'autoconsapevolezza è la base per l'autocontrollo, il dominio di sé.
Chi ha una scarsa consapevolezza di sé tende a dimenticare le proprie
debolezze e allo stesso tempo non avrà la fiducia in se stesso che deriva
dalla sicurezza sui propri punti di forza. Controllare le reazioni emotive
e gestire le pressioni porta a non assumere atteggiamenti instabili e a
non avere eccessi di collera con gli altri. Controllare le proprie
reazioni emotive significa sia essere capace di pensare chiaramente in
condizioni di stress e prendere quindi buone decisioni, sia non
"contaminare" le acque delle relazioni interpersonali con atteggiamenti
aggressivi o scostanti. Anche la salute fisica è correlata alle reazioni
emotive: molti problemi clinici sono legati a un mancato controllo dello
stress. Fra le competenze emotive quelle più importanti sono: l'integrità,
che trasmette alle persone la sensazione che si possono fidare; la spinta
al miglioramento, che porta i collaboratori a prendere l'iniziativa e non
diventare semplici esecutori; l'empatia o la consapevolezza dei
sentimenti, delle esigenze e degli interessi degli altri. Quest'ultima è
la competenza base per una ulteriore abilità, quella di persuadere e
influenzare gli altri. Il leader, infatti, svolge il suo lavoro attraverso
e grazie al lavoro di altre persone e quindi deve essere capace di trarre
ispirazione da loro e muoverle all'azione. Empatia significa interesse
attivo per le preoccupazioni degli altri, percezione delle esigenze di
sviluppo delle capacità e risalto delle potenzialità e delle abilità,
capacità di sfruttare la diversità come risorsa. L'abilità di collaborare
si basa sull'empatia, sulla capacità di interpretare e saper leggere le
correnti emotive e i rapporti di potere in un gruppo.
Riassumendo, l'abilità principale del leader è "non essere analfabeta
delle emozioni", in altri termini, non essere ignaro di un intero regno
della realtà essenziale per avere successo nella vita nel suo complesso,
non solo lavorativa.
Nella sua esperienza, i leader sono consapevoli del prezzo da pagare per
il potere e il successo (l'isolamento, il sacrificio della vita
privata...)?
Senza dubbio tutti quelli elencati sono prezzi da pagare o aspetti da
mettere in conto in una carriera lavorativa. Ce n'è un altro, una
conseguenza dell'isolamento. Mi riferisco al pericolo di essere isolati
dal flusso di informazioni cruciali che impediscono al leader di prendere
decisioni corrette e valide per mancanza di dati sufficienti.
L'autoconsapevolezza è importante e determinante anche per questo
problema. Il leader potrà infatti rendersi conto se la sua vita è
sbilanciata, se sta soffrendo anche dal punto di vista fisico o se la sua
vita privata è inesistente ed è stata troppo sacrificata per il lavoro
solo se saprà guardarsi dentro e se conoscerà le sue possibilità e i suoi
limiti.
Qual è il miglior training manageriale per lo sviluppo di un leader?
Il modello adottato nel passato non è più sufficiente per il futuro. In
particolare ci si focalizza troppo su skill analitiche o tecniche, sulle
competenze cognitive che sono sempre necessarie ma non più sufficienti per
uno stile di leadership efficace. Una buona leadership deve includere le
competenze emotive. Nei programmi di training del passato, per esempio per
l'Mba, non si consideravano questi aspetti soft. Questa è una grave
carenza che non si può più ammettere.
Quando le grosse aziende inseriranno nelle job description anche le
competenze emotive a fianco di quelle tecniche?
Molte aziende hanno cominciato da poco a fare questo anche se non lo
"pubblicizzano" né all'interno né all'esterno. Gli studi su cui ho basato
il mio ultimo libro sono frutto di esperimenti avviati in alcune aziende.
Anzi sono state proprio queste a spingere uno studio approfondito sul tema
perché tutte interessate a conoscere quali possono essere gli ingredienti
per aumentare la performance in ogni tipo di lavoro e in particolare
nell'esercizio della leadership. L'identificazione di queste competenze
non è solo un interesse delle aziende ma anche delle società di head
hunting, che hanno iniziato a selezionare manager di alto livello anche
verificando la presenza di competenze emotive. Le competenze tecniche e il
quoziente di intelligenza sono considerate sempre più la soglia minima per
svolgere un lavoro. La sfida è trovare persone con una intelligenza
emotiva sufficiente per essere dei leader distintivi, anche perché è stato
statisticamente provato che vi sono ricadute positive anche a livello di
fatturato e obiettivi economici. Nel mio libro cito l'esempio della Pepsi
Cola, uno studio svolto a livello mondiale e che ha coinvolto anche
l'Italia. Gli alti dirigenti che sono risultati forti in almeno sei
competenze emotive hanno superato gli obiettivi assegnati del 15-20%. Le
competenze che più spesso hanno portato al successo sono state:
l'iniziativa, intesa come spinta a realizzare i propri obiettivi e
adattabilità; l'influenza, intesa come capacità di leadership e
consapevolezza politica delle dinamiche di gruppo; e l'empatia, intesa
come fiducia in se stessi e capacità di valorizzare gli altri. I dirigenti
che non sono risultati possedere queste competenze hanno dato prestazioni
inferiori in misura quasi pari al 20 per cento.
Si possono misurare le competenze emotive di un leader?
Sicuramente. Il sistema di valutazione detto "360 degree feedback" è senza
dubbio il più valido per misurare le competenze emotive. Si tratta
innanzitutto di un sistema che ha come obiettivo non il controllo, ma lo
sviluppo delle persone, il miglioramento della performance e della
partecipazione agli obiettivi aziendali. Secondo questo sistema, la
valutazione delle persone sulle 24 competenze emotive descritte nel libro
viene effettuata non solo dal capo, ma anche dai colleghi e dai
collaboratori, i clienti interni di ciascuno di noi. Si possono così
inquadrare i punti di forza e di debolezza, averne consapevolezza e
utilizzarli come leva per migliorare. Un aspetto importante è che le
competenze emotive si possono apprendere e migliorare in ogni momento
della vita lavorativa. Il primo passo, e il più importante, è in ogni caso
l'autodiagnosi, e il multisource assessment, la valutazione a 360° da più
punti di vista, è lo strumento migliore per acquisire una consapevolezza
emotiva, riconoscere cioè le proprie emozioni e i loro effetti nel
rapporto con gli altri. Attraverso una accurata autovalutazione dei limiti
e dei punti di forza emersi si potrà acquisire una maggiore fiducia in se
stessi (sicurezza del proprio valore e delle proprie capacità) e ottenere
performance sempre migliori.
Ricevuto da team@6seconds.org
http://italia.6seconds.org/modules.php?name=News&file=article&sid=10
LUGLIO 2007
In un mondo che cambia ad alta velocità, le imprese devono conquistare i talenti usando strumenti diversi da quelli tradizionali. Joshua Freedman, intervistato da Antonio Dini, spiega quanto conta l'intelligenza emotiva.
Ci vuole un'avvertenza particolare prima di incontrare Joshua Freedman, ricercatore e studioso della performance aziendale e consulente internazionale di questo tema. I suoi libri- l'ultimo dei quali, Intelligenza emotiva, è pubblicato da Il Sole 24 Ore- ne sono una prova vivente: il mondo al quale fa riferimento non è applicabile letteralmente a tutti i contesti. Ma, riuscendo a guardare con una lente interpretativa sufficientemente affinata, la sua visione in realtà comunica soprattutto in Italia molto più di quel che non si possa immaginare. Non si tratta infatti solo di una teoria "new age" su come migliorare la performance nel business inserendo un "tocco umano" e "più sensibilità".
E' una visione più ampia, una delle più chiare manifestazioni che qualcosa si muove: stiamo assistendo probabilmente a un cambiamento profondo del mondo degli affari e non solo, a velocità accelerata e in un arco di tempo nel quale cinque anni sono diventati un'era geologica. Freedman testimonia un aspetto di questo cambiamento, grazie a una ricetta originale che sta interessando i vertici di numerose multinazionali come di piccole start up e piccole ma dinamiche imprese in Paesi di tutto il mondo. L'emozione conta.
Chi è Joshua Freedman
Joshua Freedman, recita il suo stringato profilo, “svolge attività di ricerca, consulenza e formazione a livello mondiale”. Di persona il quarantenne americano chiarisce: «Non è importante il curriculum quanto la passione e il modo con il quale si lavora». Quello che è stato definito un “guru dei consigli di amministrazione”, chiamato dai vertici delle grandi come delle piccole aziende a spiegare in quale modo migliorare la performance aziendale, veste solitamente in modo casual e non cerca di impressionare gli interlocutori con l’aggressività tipica dei “Testosterone Ceo”, gli amministratori delegati che negli ultimi vent’anni hanno fatto delle loro personalità esuberanti una chiave per ammaliare dipendenti, consigli di amministrazione e azionisti. Per Six Seconds EQ Networks, la società californiana di formazione e consulenza non-profit, attiva in tutto il mondo, che lavora allo sviluppo dell’intelligenza emotiva, ha la funzione di direttore dei programmi; mentre è al vertice dell’Institute for Organizational Performance. Ha insegnato i suoi metodi a decine di formatori e consulenti di tutto il mondo che lavorano nei network della Six Seconds e dell’Institute.
Ricevuto da team@6seconds.org
http://italia.6seconds.org/modules.php?name=News&file=article&sid=126
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“La mente del bambino, come sappiamo osservandone il comportamento e come hanno dimostrato gli studi di generazioni di psicologi, è fondamentalmente diversa da quella di un adulto: un bambino piccolo pensa e si emoziona in modo differente rispetto a un bambino più grandicello, un adolescente, un adulto. Queste differenze non sono tanto di tipo quantitativo, non dipendono cioè dal fatto che la mente di un bambino sia ancora <<in miniatura>>, quanto di tipo qualitativo: esse non rispecchiano soltanto un diverso numero di esperienze e adattamenti ma anche un diverso grado di maturazione dei sensi e delle capacità motorie e cognitive… A partire dalla nascita, sensi, movimenti, pensiero, emozioni si trasformano gradualmente, passando attraverso stadi diversi che, come gradini di una scala, consentono di raggiungere capacità sempre più elevate… Lo studio del comportamento di un feto, di un neonato, di un lattante o di un bambino indica una forte sincronia tra sviluppo del cervello e sviluppo della mente e sottolinea la presenza di un programma genetico, ma anche di una estrema capacità del cervello di adattare e modificare le sue caratteristiche strutturali e le sue funzioni alle necessità del momento. Le nostre conoscenze sullo sviluppo della mente sono molto recenti e si basano su un’alleanza tra psicologia dello sviluppo e neuroscienza, possibile grazie a nuovi strumenti di studio della mente e del cervello: questi hanno permesso di identificare con precisione le tappe della maturazione delle diverse aree e strutture nervose e quindi di mettere in rapporto un particolare aspetto del comportamento con una particolare struttura cerebrale… Quando parliamo del cervello, il primo punto da considerare è l’estrema individualità cerebrale e, di conseguenza, mentale: non esistono due cervelli identici e, anche in caso di clonazione…, i cloni possiedono un cervello non coincidente. (…)
Per poter applicarsi, concentrasi, interessarsi agli altri e al mondo che lo
circonda, un bambino deve godere di una sufficiente tranquillità emotiva: se è
stressato, preoccupato intimorito, molto insicuro, impegnerà tutte le sue
energie a difendersi, a cercare protezione, a isolarsi da quelle situazioni che
gli procurano ansia e lo fanno soffrire. Un bambino con una scarsa autostima o
notevoli problemi familiari, maltrattato o non amato va quindi più facilmente
incontro a difficoltà di apprendimento, che possono ostacolare la sua crescita
intellettiva e la sua formazione culturale. E se alcuni riescono, nonostante
tutto, a crearsi spazi mentali di tranquillità in cui immergersi nei momenti
critici, altri invece non ci riescono per vari motivi; il primo di questi è la
mancanza di un buon attaccamento nei primi 3 anni di vita.
Nel corso dell’età evolutiva la mente non si sviluppa in un vuoto ma anche
grazie al clima affettivo che regna in famiglia e al rapporto che il bambino
instaura fin dall’inizio con le proprie figure di attaccamento, in particolare i
genitori. Un cattivo rapporto con queste figure di riferimento può ostacolare la
naturale curiosità, creare un clima di sospetto e di paura e portare a un
ripiegamento difensivo su se stessi. Crescere in un clima sereno, disporre di
una <<base sicura>> cui fare riferimento e da cui trarre fiducia è fondamentale
nell’infanzia. (…) per sopravvivere un neonato … ha bisogno che qualcuno si
occupi di lui, non soltanto per alimentarlo e coprirlo, ma anche per
trasmettergli con la presenza e le interazioni, sicurezza e ottimismo. (…) Egli
trae dunque la propria sicurezza non soltanto da quelle competenze che la
maturazione fa emergere e che gli consentono di controllare sempre meglio la
realtà, ma anche dal modo in cui gli altri gli rispondono e interagiscono: dal
fatto che lo rassicurino, che capiscano le sue esigenze, che lo incoraggino, che
gli trasmettano gioia e ottimismo, che gli mostrino in quanti modi si può
entrare in relazione con le persone e suscitare il loro interesse.”
Alberto Oliviero, Anna Oliviero Ferraris – LE ETA’ DELLA MENTE – RIZZOLI
GIUGNO 2007
”Fin dal momento in cui ti svegli, migliaia di cose vanno per il verso giusto.
Per qualche strana magia di cui non ti rendi pienamente conto, respiri ancora e
il tuo cuore continua a battere anche se sei rimasto incosciente per ore.
Proprio come prima di andare a dormire, l’aria che respiri e’ composta di
elementi che soddisfano esattamente le tue necessità.
Ci vedi! La luce multicolore arriva ai tuoi occhi, registrata da nervi che hanno
richiesto milioni di anni per essere perfezionati. Questo dono affascinante ti
e’ concesso da una sfera infuocato di grandezza inimmaginabile, il sole, che
attraverso continue esplosioni nucleari si trasforma in luce, calore ed energia.
Lo sapevi che il sole si trova a una distanza perfetta? Se fosse più vicino
friggeresti, se fosse leggermente più lontano moriresti congelato. Ma lui ci
regala ancora un’altra benedizione: ogni giorno sorge su una linea
dell’orizzonte a oriente, in perfetto orario, e lo fa da molto tempo prima che
tu nascessi.
A proposito, ti ricordi il momento in cui sei venuto al mondo? E’ stato un
miracolo difficile, frutto del duro lavoro di molte persone. Un altro miracolo
e’ il fatto che da quel momento in poi hai continuato a crescere, grazie a
milioni di cellule che nascono dentro di te per sostituire quelle vecchie. E
tutto questo accade anche se non te ne accorgi.
Anche oggi ti sei svegliato nella tua cuccia a temperatura controllata. Hai una
casa! Il letto e il cuscino sono morbidi, le coperte ti tengono al caldo. La
corrente elettrica c’e’, come sempre. In qualche modo che intuisci appena, da
qualche parte un’enorme centrale sta trasformando il combustibile in energia
elettrica, che poi arriva fino a te attraverso cavi quasi invisibili nell’esatta
quantità di cui hai bisogno. E tu, per controllarne il flusso, devi solo
sfiorare l’interruttore con un dito.
Cammini! Le tue gambe funzionano a meraviglia, Il cuore mette in circolo il
sangue per dare energia ai muscoli dei piedi, dei polpacci e delle cosce, e
quando il sangue e’ stanco torna verso il cuore per ritrovare freschezza e
vigore. Questo miracolo si ripete in ogni istante della tua vita.
Forse la tua casa non e’ una reggia ma e’ comoda e spaziosa in confronto a
quelle del passato. Il pavimento non e’ sconnesso, le porte e le finestre si
aprono senza sforzi ne’ cigolii. Quali individui geniali hanno costruito questo
santuario? Dove hanno imparato quest’arte?
Nel bagno lo scarico funziona perfettamente, proprio come gli altri accessori.
Hai a disposizione saponi, creme, rasoi, forbicine e tutto il necessario per
lavarsi i denti: tante cose utili alla tua igiene personale, che migliorano il
tuo aspetto fisico. Sai per certo che alcuni ignoti scienziati hanno testato
questo oggetti per far sì che tu li usassi in assoluta sicurezza.
E’ straordinario che l’acqua di cui hai così bisogno sgorghi dal rubinetto
sempre nella quantità e alla temperatura che preferisci, è limpida e pura: sai
che non contiene parassiti. Da qualche parte, qualcuno sta lavorando perché
queste meraviglie ti siano sempre garantite.
Guarda le tue mani: sono delle creazioni stupefacenti, che ti permettono di
compiere mille azioni diverse con forza e grazia infinita. Le tue mani
assaporano il piacere di toccare migliaia di consistenze differenti e,
oltretutto, sono belle da vedere.
L’armadio e’ pieno di vestiti che ti piace indossare. Chi ha raccolto il
materiale per tessere le stoffe? Chi gli ha dato quei colori, chi li ha cuciti
per te?
In cucina ti aspettano cibi appetitosi e ben confezionati. Persone che non
conosci hanno lavorato duramente per coltivarli, lavorarli e farli arrivare nel
negozio in cui li hai comprati. Nella storia del mondo, il palato non ha mai
avuto un tale imbarazzo della scelta.
I tuoi elettrodomestici funzionano in maniera impeccabile. Sono alimentati dalla
corrente elettrica, che potrebbe fulminarti all’istante, ma tu non avverti mai
un senso di pericolo quando li tocchi. Perchè? La fiducia che riponi nelle
persone che hanno costruito queste macchine e’ a dir poco commovente.
E’ come se ci fosse una benevola cospirazione di ignoti che crea
instancabilmente centinaia di cose che ti servono e ti piacciono.
Ma c’e’ di più. La gravità agisce sempre allo stesso modo, esercitando su di te
una forza ne’ eccessiva, ne’ troppo debole. Da dove nasce questa meraviglia? Per
quale motivo? In realtà non e’ importante saperlo: la forza di gravità
continuerà a comportarsi con efficienza anche se tu non ne capirai il perchè.
Nel frattempo, miliardi di altri elementi che compongono il miracoloso disegno
della natura si esprimono alla perfezione: le piante crescono, i fiumi scorrono,
le nuvole si rincorrono, i venti soffiano e gli animali si riproducono. Il clima
e’ un’affascinante combinazione di variabili che non si ripetono mai. Anche se
non te ne rendi conto, ogni giorno assapori le mutevoli sensazioni della luce e
della temperatura che giocano con il tuo corpo.
Ma c’e’ di più. Puoi sentire odori e sapori che ti piacciono. Puoi pensare! Ti
e’ stato concesso lo straordinario dono della consapevolezza. Provi sentimenti!
Ti rendi conto di quanto e’ sorprendente questa misteriosa facoltà? E non
dimenticare che puoi visualizzare un’infinita’ di immagini, anche quelle che non
esistono nella realtà. Da dove viene questo talento magico?
Grazie a un’incredibile serie di coincidenze, o forse per un grandioso progetto
divino, e’ nato il linguaggio. Nell’arco dei secoli milioni di persone hanno
contribuito a dar forma a un sistema di comunicazione che tu potessi capire. La
parola, pronunciata o scritta, ti da’ piacere e un incredibile senso di potere.
Vuoi andare in un posto lontano? Puoi usare l’automobile, l’aereo, l’autobus, il treno, la metropolitana, la nave l’elicottero o la bicicletta, e sai che tutti questi mezzi di trasporto funzionano a dovere. Sono stati perfezionati da centinaia di persone morte da tempo, e molte altre tuttora vive e vegete si impegnano perchè ti siano sempre d’aiuto. Forse sei uno dei milioni di individui che possiede un’automobile: e’ la brillante invenzione di esperti progettisti. Altri lavoratori specializzati impiegano ore per estrarre il petrolio dalla terra e dal mare e trasformarlo nel carburante che alimenterà la tua macchina. Le strade sono praticabili, chi le ha lastricate per te? I ponti che attraversi sono grandiose opere di ingegneria. Ti rendi conto quant’è stato difficile costruirli?
Sai bene che in futuro il progressivo esaurimento delle riserve petrolifere e il
surriscaldamento del pianeta imporranno limitazioni all’uso di automobili,
aeroplani e altri mezzi di trasporto. Ma sai anche che tante persone
intelligenti e piene di idee stanno cercando di sviluppare fonti di energia
alternative per difendere l’ambiente.
E rispetto alla lentezza con cui le civiltà del passato hanno capito i loro
problemi, quella in cui vivi tu si sta muovendo velocemente per affrontare le
difficoltà generate dalla tecnologia.
Mentre sei in viaggio puoi ascoltare la musica. Forse hai un lettore MP3,
un’invenzione fantastica che ti permette di ascoltare centinaia di canzoni.
Forse invece hai una radio. Attraverso un processo misterioso, i suoni e le voci
lontane si trasformano in onde invisibili che, rimbalzando nella ionosfera, si
tuffano nella tua piccola autoradio per tradursi nella musica e nelle voci che
ami.
Facciamo finta che siano le nove e trenta del mattino: sei sveglio da due ore e
un sacco di cose sono già andate per il verso giusto. Ma se per caso tre di
queste non hanno fatto il loro dovere – il tostapane si e’ rotto, l’acqua della
doccia non era abbastanza calda, c’era una macchia proprio sui pantaloni che ti
volevi mettere – potresti pensare che oggi tutto vada storto e che l’universo ti
abbia voltato le spalle. Ma la verità e’ che la stragrande maggioranza delle
cose funziona con meravigliosa efficienza. Saresti un ingenuo se pensassi che la
vita non e’ altro che una specie di condanna.”
Rob Brezsny – LA PRONOIA E’ L’ANTIDOTO ALLA PARANOIA – EDIZIONE RIZZOLI
MAGGIO 2007
”Molti credono che quando ‘avranno’ una cosa (più tempo, denaro, amore, eccetera) potranno finalmente ‘fare’ qualcos’altro (scrivere un libro, dedicarsi a un hobby, andare in vacanza, iniziare un rapporto, e così via). Ciò permetterà loro di ‘essere’ felici, contenti, in pace, innamorati.
Ma nell’universo come è in realtà (e non come voi credete che sia), ‘avere’ non produce ‘essere’. È esattamente il contrario.
Prima devi essere felice (o saggio, compassionevole, innamorato, eccetera), poi da quella modalità dell’essere inizi a fare delle cose, e presto scopri che ciò che fai finisce per portarti le cose che hai sempre voluto avere.
Il modo per iniziare questo processo creativo (si tratta proprio di questo, di una creazione) è quello di esaminare ciò che vuoi avere, chiedendoti come saresti se avessi quelle cose. Quando l’hai capito, ti basta essere in quel modo.
In questo modo userai il paradigma ‘Essere-Fare-Avere’ nel modo giusto, lavorando con il potere creativo dell’universo, e non più contro di esso.
Ecco un modo breve di enunciare questo principio: nella vita, non devi fare nulla. Si tratta soltanto di essere.
… La felicità è uno stato mentale. E come ogni stato mentale si produce in forma fisica. Ecco una frase da attaccare con una calamita sul frigorifero: ogni stato mentale si riproduce.
… l’universo non è altro che una grande fotocopiatrice, una macchina che riproduce i tuoi pensieri in forma fisica….”
Neale Donald Walsch – CONVERSAZIONI CON DIO Libro terzo – Sperling & Kupfer Editori
APRILE 2007
”Sono profondamente convinta che tutti i Bambini siano SEMI DI LUCE che cercano
amore … Ai Genitori spetta la grande responsabilità di “nutrirli” e di creare le
condizioni perché la LUCE che è in ciascuno di essi possa germogliare e fiorire.
Quando viene al mondo un bambino nascono con lui, naturalmente, un papà e una
mamma : è un dato di fatto che nessuno può cancellare, neppure coloro che di
tale realtà non si assumono alcuna responsabilità e fuggono.
Ma il bambino non ancora nato chiede altre due figure accanto a sé per crescere
ed esprimere tutte le sue potenzialità e risorse e realizzare la ragione della
sua nascita: due Educatori (e-ducare dal latino e-ducere = portare alla luce,
far venire fuori ciò che è già all’interno: le potenzialità, le risorse,
appunto).
Se è vero che papà e mamma si nasce quando nasce il proprio bambino, è anche
vero che Educatori si diventa acquisendo conoscenze, competenze e strumenti per
- Vivere con piena consapevolezza il momento dell’attesa.
- Controllare e gestire le proprie emozioni e i propri pensieri, evitando
inutili stress al bimbo/alla bimba non ancora nati e prevenire suoi futuri
disagi.
- Comunicare con il / la nascituro/a e imparare a conoscerlo/la prima della
nascita.
- Acquisire competenze per una gravidanza sana e serena e partorire in modo
dolce e attivo, con la presenza valida ed efficace del proprio partner, quando
ciò è possibile.
- Acquisire competenze nella comunicazione non verbale e principalmente nella
comunicazione corporea, attraverso la quale comunicano i bambini nei primi anni
di vita.”
Carmela Lo Presti
Che sia sperimentato o solo osservato, un evento negativo può suscitare gli
stessi processi cerebrali
L’uomo apprende la paura in base agli stessi processi neuronali sia in seguito
all’esperienza personale di un evento negativo, sia che ne sia stato solamente
testimone. È quanto risulta dalla prima ricerca che abbia mai preso in esame le
basi cerebrali della paura acquisita indirettamente, osservando gli altri.
Condotto da psicologi della New York University, lo studio – pubblicato
sull’ultimo numero della rivista Social Cognitive and Affective Neuroscience (SCAN)
– ha rivelato che l’amigdala, notoriamente coinvolta nell’acquisizione e
nell’espressione della paura derivante da esperienze personali, reagisce nella
stessa misura anche quando venga sollecitata alla paura indirettamente.
Nello studio, i soggetti assistevano a un breve video in cui un’altra persona
partecipava a un esperimento di condizionamento alla paura, nel quale essa
reagiva in maniera stressata quando riceveva una debole scossa elettrica
accoppiata alla comparsa di un quadrato colorato. Successivamente ai soggetti
che partecipavano allo studio veniva detto che avrebbero preso parte a un
esperimento simile a quello appena osservato. Per quanto ai soggetti, a
differenza di quanto avveniva nel video, non venisse in realtà somministrata
alcuna scossa, essi mostravano una significativa risposta di stress all’apparire
del quadrato colorato associato nel video allo shock elettrico. Non solo: le
rilevazioni fatte con tecniche di brain imaging hanno anche rivelato che il
livello di attivazione dell’amigdala era equivalente sia nel caso della paura
acquisita per esperienza sia in quello di acquisizione indiretta.
“Ogni giorno siamo esposti a immagini vivide di persone in situazioni
emozionalmente forti, sia nelle interazioni sociali, sia attraverso i media”, ha
osservato Elizabeth Phelps, che ha diretto la ricerca. “La conoscenza dello
stato emozionale di qualcuno può evocare una risposta empatica. Tuttavia, come
rivela la nostra ricerca, quando le emozioni altrui sono accompagnate da vivide
espressioni e percepite come potenzialmente rilevanti per il nostro futuro
benessere, possiamo mettere in campo ulteriori meccanismi di apprendimento.
(Articolo on line del 16 marzo 2007 su Le Scienze -->)
FEBBRAIO 2007
“People”, “Planet” e “Profit” sono tre concetti alla base di una più vasta
visione dei bisogni primari dell’uomo e di una ridefinizione del rapporto tra
profitto ed etica.
“People”, la gente, è il soggetto senza il quale non saremmo qui neppure a fare
questo ragionamento, la gente non è il mezzo, è il fine. La soddisfazione dei
bisogni della gente, il rispetto degli esseri umani, l’attenzione alla qualità
dell’esistenza devono essere il fulcro di qualsiasi ragionamento e iniziative.
La gente siamo noi.
“Planet”, il pianeta, è il teatro di questa nostra esistenza, senza la Terra non
c’è la vita, almeno non come la intendiamo noi oggi. È la Terra su cui
camminiamo e abitiamo, è l’aria che respiriamo, è il cibo che mangiamo, è
l’acqua di cui viviamo. Se non prendiamo in considerazione i bisogni del
pianeta, miniamo la base stessa della nostra esistenza. Oggi non possiamo più
vivere alle spalle dell’ecosistema.
“Profit”, il profitto, è quanto permette di soddisfare i bisogni primari legati
alla sopravvivenza, è indispensabile per vivere nella società contemporanea. Ma
è arrivato il momento di renderci conto che il profitto da solo non basta. Senza
le altre due P, senza prendere in considerazione sia la gente che il pianeta,
non c’è armonia di vita. Non c’è neanche la vita.
People, planet e profit sono strettamente collegati tra loro come anelli di una
catena. I bisogni della gente verranno soddisfatti nell’ambito del pianeta,
grazie al profitto, che non è fine a se stesso, ma è finalizzato a rispondere
alle esigenze della gente e non può quindi prescindere dalla necessità del
pianeta, senza il quale non ci sarebbe profitto. E neppure la gente.”
Marco Roveda – PERCHÉ CE LA FAREMO – Ponte alle Grazie
GENNAIO 2007
“La neuroscienza ha scoperto che la struttura stessa del nostro cervello lo
rende socievole, inevitabilmente soggetto a un profondo legame cervello-cervello
ogni qualvolta entriamo in contato con un’altra persona. Questo ponte neurale ci
porta a influenzare sia il cervello, sia il corpo di ogni persona con cui
interagiamo e viceversa…..
Durante i collegamenti neurali, il cervello è impegnato in un tango emotivo, una
danza dei sentimenti……
……. L’elemento più stupefacente è che la scienza ha scoperto un legame fra i
rapporti conflittuali e l’azione dei geni specifici che regolano il sistema
immunitario.
Ne consegue che le relazioni plasmano non solo l’esperienza, ma anche le
funzioni biologiche. Il rapporto cervello-cervello permette ai legami più forti
di modellarci sia su questioni superficiali come ridere per le stesse
barzellette, sia su elementi più profondi come l’attivazione (o blocco) dei geni
delle cellule T, la prima linea del sistema immunitario nella continua lotta
contro le invasioni di virus e batteri.
Ma questo rapporto è una lama a doppio taglio: le relazioni appaganti hanno un
effetto benefico sulla salute, mentre quelle nocive possono agire come un veleno
nel nostro corpo………..
………. Il <<cervello sociale>> è la somma dei meccanismi neurali che presiedono
sia alle nostre interazioni, sia ai nostri pensieri e sentimenti verso le
persone e i rapporti in generale. La novità di maggiore rilievo consiste forse
nel fatto che il “cervello sociale” rappresenta l’unico sistema biologico del
nostro corpo che entra in sintonia con lo stato d’animo delle persone insieme a
cui ci troviamo, e a sua volta ne è influenzato. Tutti gli altri sistemi
biologici, dalle ghiandole linfatiche alla milza, compiono gran parte della
propria attività in risposta a segnali che provengono dal corpo stesso. I
percorsi seguiti dal cervello sociale si distinguono, invece, per la loro
ricettività al mondo in generale: ogni volta che stabiliamo un contatto
viso-viso (oppure voce-voce, o pelle-pelle) con un’altra persona, i nostri
cervelli sociali s’intrecciano.
Le interazioni sociali svolgono addirittura un ruolo nella ristrutturazione del
nostro cervello: si tratta della cosiddetta <<neuroplasticità>>, in base alla
quale esperienze ripetute scolpiscono la forma, le dimensioni e il numero dei
neuroni e delle rispettive connessioni sinaptiche. Adattando ripetutamente il
cervello a un dato registro, le nostre relazioni chiave possono a poco a poco
modellare alcuni circuiti neurali. È ormai assodato che essere continuamente
feriti, oppressi, ma anche nutriti dal punto di vista emotivo, da qualcuno con
cui trascorriamo molte ore al giorno, può modificare nel corso degli anni la
struttura del nostro cervello.
Queste nuove scoperte rivelano che le relazioni interpersonali hanno un impatto
impercettibile, ma fortissimo, nel corso di tutta la nostra esistenza. Chi tende
a vivere rapporti negativi potrebbe non apprezzare questa notizia: ma le stesse
scoperte evidenziano le potenzialità rigenerative dei legami personali in ogni
momento della vita.
Ne consegue che il modo in cui entriamo in contatto con gli altri assume una
rilevanza inimmaginabile……..
………. Nel lontano 1920……. Lo psicologo Edward Thorndike coniò la definizione di
<<intelligenza sociale>>. Uno dei modi in cui la definì fu <<la capacità di
capire e gestire uomini e donne>>, doti di cui abbiamo bisogno tutti per vivere
bene nel mondo……… Dal mio punto di vista, la capacità di manipolare gli altri
non dovrebbe essere considerata una forma di intelligenza sociale, poiché si
tratta di qualcosa che una persona compie a proprio vantaggio a scapito di un
suo simile. Potremmo invece usare il termine <<intelligenza sociale>> per
indicare la qualità propria di un individuo intelligente non solo riguardo alle
relazioni, ma anche all’interno di esse. Questo concetto amplia l’ambito
dell’intelligenza sociale da una prospettiva individuale a una bipersonale,
dalle doti intrinseche dell’individuo a ciò che emerge quando una persona è
coinvolta in un rapporto….. Questo ampliamento ci permette…….. inoltre di
superare l’egoistico interesse individuale per cogliere meglio le esigenze degli
altri.
Una prospettiva più ampia ci porta a considerare incluse nel raggio di azione
dell’intelligenza sociale doti che arricchiscono i rapporti personali, come
l’empatia e la considerazione per gli altri. Mi occuperò dunque, in questo
libro, di un secondo e più profondo principio esposto da Thorndike a proposito
del comportamento sociale: <<agire con saggezza nei rapporti umani>>.
La ricettività sociale del cervello esige che acquisiamo consapevolezza, che ci
rendiamo conto di come non solo l’umore, ma anche il corpo, sia guidato e
influenzato dagli altri e, viceversa, che valutiamo l’impatto del nostro
comportamento sulle emozioni e sulla fisiologia altrui……
L’influenza biologica che si trasmette da persona a persona, prefigura una nuova
dimensione di esistenza vissuta bene: si tratta di comportarci in maniera tale
da avere un effetto benefico anche a livello impercettibile su chi entra in
contatto con noi.”
Tratto da: Daniel Goleman – INTELLIGENZA SOCIALE – Rizzoli
Di Giampiero Cara
“Da tempo, ormai, si sente parlare, oltre che di Intelligenza razionale (il
celebre “quoziente intellettivo” o “IQ”) anche di “Intelligenza Emozionale”.
Adesso si è cominciato a parlare anche, finalmente, di Intelligenza Spirituale.
Ma di cosa si tratta esattamente?
Mentre l’intelligenza razionale corrisponde alle qualità logiche, strategiche,
matematiche e linguistiche di una persona, e quella emozionale al grado di
autostima e alla capacità di rapportarsi agli altri e di affrontare le
situazioni sociali, l’Intelligenza Spirituale (IS), secondo la definizione degli
esperti dell’International Institute for Transformation che la sta studiando
negli Stati Uniti, si riferisce alla facoltà di inserire la propria vita
individuale in un contesto più ampio, nonché di darle un significato e uno
scopo.
La IS ci permette di utilizzare l’intelligenza razionale e quella emozionale in
un modo unificato per migliorare la nostra vita e quella di tutti gli esseri
viventi. Sono (o erano) dotati di grande IS leader politici e spirituali del
calibro di Ghandi, Madre Teresa, Martin Luther King e Nelson Mandela, tanto per
fare degli esempi.
Secondo i ricercatori americani, in questo decennio e oltre la IS sarà un
fattore determinante anche per il successo di una persona. Perché? Sia
l’intelligenza razionale sia quella emozionale hanno bisogno, per operare di
informazioni già esistenti, mentre la IS, basata sulla conoscenza delle leggi
spirituali su cui si fonda l’universo, riflette la capacità di pensare al di là
dei confini di ciò che è già noto, nonché di scorgere in una situazione una
verità più elevata. Pertanto, è solo quando tutti questi tre tipi di
intelligenza agiscono all’unisono, guidati dalla IS, che siamo in grado di
manifestare pienamente il nostro potenziale nel mondo.
Allo scopo di aiutare le persone a sviluppare la loro IS, l’International
Institute for Transformation offre dei programmi specifici, presentati anche
presso il sito http://www.iitransform.com Tali programmi sono naturalmente a
pagamento, ma è possibile intanto misurare con un test gratuito la propria
intelligenza spirituale, cliiccando sul link nella colonna di destra.”
http://www.auraweb.it/articolo_benessere.asp?cid=17&aid=383
DICEMBRE 2006
“Immaginate di essere degli artisti incaricati di dar forma alla vostra stessa
vita.…. La vostra vita è la tela e il vostro cervello i colori. Ora si tratta di
darvi il permesso di decidere dove volete andare, cosa volete dipingere. Questa
è l’arte della libertà individuale.
Come esseri umani, la nostra più grande forza sta nella nostra più grande
debolezza: la capacità di scegliere. È il grande paradosso dell’esistenza. Tutta
quella libertà, e la usiamo per imprigionarci da soli. Possiamo scegliere di
essere grandi. Possiamo scegliere di non esserlo. Ci è concesso di scegliere.
Gli alberi non hanno scelta. Crescono quanto più possibile.
Come esser umani, tuttavia, possiamo scegliere di fare del nostro meglio o di
non fare nulla. Quella scelta è nostra. Come forza, ci dà il potere di essere
felici. Come debolezza, ci dà l’opportunità di essere infelici. Come forza, ci
dà il potere di vivere una vita meravigliosa. Come debolezza, ci dà
l’opportunità di essere pigri. Per me, l’arte di vivere meravigliosamente si
riduce a questo: impadronirsi della facoltà di scegliere e scegliere per il
meglio…….. la libertà…. È un processo. Per essere liberi, dobbiamo liberarci.
Non si può avere la libertà, la si può soltanto praticare…….
Con il passare degli anni, ciascuno di noi vive in case diverse e fa lavori
diversi. Per contro, l’interno della nostra mente è un luogo in cui
trascorreremo la vita intera. Non ci sono momenti di riposo, non si può fare un
attimo di pausa…. È la vostra casa, permanentemente. È così: potete farne un
paradiso in cui vivere o un inferno da sopportare. La scelta è vostra. Essere
veramente liberi significa IMPARARE A TRASFORMARE L’INTERNO DELLA VOSTRA MENTE
IN UN MERAVIGLIOSO POSTO IN CUI STARE.”
(Richard Bandler, Owen Fitzpatrick – PNL È LIBERTÀ – PNL ITALY)
NOVEMBRE 2006
Immagina che al mondo esista solo un tipo di Banca: quella che ogni mattina
accredita la somma di Euro 86.400,00 sul tuo conto.
Non conserva il tuo saldo giornaliero. Ogni notte cancella qualsiasi quantità
del tuo saldo che non sia stata utilizzata durante il giorno. Che faresti?
Ritireresti fino all’ultimo centesimo ogni giorno, ovviamente!!!!
Ebbene ognuno di noi possiede un conto in questa Banca.
Il suo nome? TEMPO.
Ogni mattina questa Banca ti accredita 86.400 secondi. Ogni notte questa Banca
cancella e dà come perduta qualsiasi quantità di questo credito che tu non abbia
investito in un buon proposito. Questa Banca non conserva saldi, né permette
trasferimenti. Ogni giorno ti apre un nuovo conto. Ogni notte elimina il saldo
del giorno. Se non utilizzi il deposito giornaliero, la perdita è tua. Non si
può fare marcia indietro. Non esistono accrediti sul deposito di domani. Devi
vivere nel presente con il deposito di oggi. Investi in questo modo per ottenere
il meglio nella salute, felicità e successo, nel rispetto dell’altro. L’orologio
continua il suo cammino. Ottieni il massimo da ogni giorno, ricordandoti di
rispettare gli altri.
Per capire il valore di un anno, chiedi ad uno studente che ha perduto un anno
di studio.
Per capire il valore di un mese, chiedi ad una madre che ha partorito
prematuramente.
Per capire il valore di una settimana, chiedi all’editore di un settimanale.
Per capire il valore di un’ora, chiedi a due innamorati che attendono di
incontrarsi.
Per capire il valore di un minuto, chiedi a qualcuno che ha appena perduto il
treno.
Per capire il valore di un secondo, chiedi a qualcuno che ha appena evitato un
incidente.
Per capire il valore di un milionesimo di secondo, chiedi ad un atleta che ha
vinto la medaglia d’argento alle Olimpiadi.
Dai valore ad ogni momento che vivi e dagli ancor più valore condividendolo con
una persona speciale, quel tanto speciale da dedicarle il tuo tempo, ricordando
che il tempo non aspetta nessuno.
L’origine di questo pensiero è sconosciuta, ma si dice che porti fortuna….
Vivendolo!
Anonimo
Diventare ciò che si è, riconoscere le potenzialità che si hanno e valorizzare
le proprie capacità è il primo passo concreto che possiamo fare per… cambiare il
mondo.
E’ arrivato il momento di svegliarci!
Il mondo è fatto da individui, così come un organismo è composto da cellule e
una sinfonia da singole note. Ogni nota, ogni cellula e anche ogni individuo,
vive di vita propria, ha un peso nell’economia globale dell’insieme più vasto
che va a formare. Non sappiamo quale è il margine di autonomia di una nota o di
una cellula, anche se non è difficile immaginare che una cellula o una nota
fuori posto possono disturbare un intera armonia oppure, in un posto nuovo,
possono avviare l’intero processo verso nuovi orizzonti di sviluppo. Del resto
la vita è estremamente creativa, come la musica, non rimane mai ristretta agli
stessi canoni.
L’innovazione, la rottura degli schemi, il libero arbitrio – tradotto in termini
umani – fanno parte della vita stessa e il singolo individuo, per quanto possa
sentirsi racchiuso da convenzioni e condizionamenti, effettivamente modellato da
schemi, doveri e consuetudini, ha un ampio margine di libertà a sua disposizione
con cui poter dare riposte diverse da quelle consuete alla realtà, atteggiarsi
in modo nuovo di fronte a situazioni vecchie, scoprire soluzioni, liberarsi da
circoli viziosi, elaborare creativamente strategie funzionali a obiettivi
precisi, inventare la propria vita e il proprio mondo.
L’uomo e la donna sono liberi, creativi e responsabili per natura; diventano
condizionati, limitati e passivi solo per mancanza di esercizio del pensiero
critico, di educazione all’autorealizzazione, di abitudine all’autonomia. La
dignità di essere umano con tutte le sue implicazioni realizzative e
potenzialità va conquistata attraverso un percorso di crescita personale, non
viene regalata a nessuno. Non la fornisce la scuola, come istituzione, ma la
insegnano singoli insegnanti capaci di prendere sul serio il proprio ruolo di
educatori, e ce ne sono. Non la diffonde la religione, ma se ne fanno portatori
singoli sacerdoti, di tutte le fedi, che veramente riconoscono nell’essere umano
una scintilla divina. Non ne parla la televisione, che ha invece l’interesse a
poter contare su una massa passiva di fruitori di sciocchezze. Non ne parla l’etablishment
economico che ha bisogno di consumatori fedeli e creduloni per poter far girare
quell’immensa macchina consumista su cui è basato lo stile di vita
contemporaneo.
L’onere e l’onore di avviare il processo di liberazione è del singolo individuo.
La via non è una, sono tante e i percorsi possono prendere tante forme quante
sono le stelle in cielo. Certo, non possiamo fare tutto da soli, ma possiamo
imparare a risvegliare in noi attenzione, sensibilità e intuito per trovare, di
volta in volta, quei pezzi di cammino che ci possono essere di aiuto, libri,
iter formativi, scuole, filosofie, percorsi spirituali, per riconoscere compagni
di viaggio e maestri che ci aiutino a diventare maestri di noi stessi.
Quando avremo imparato e realizzato tutto il potere che abbiamo davvero, potremo
– dopo aver cambiato noi stessi – cambiare il mondo.
Coltivare il pensiero attivo
Non dare niente per scontato, non lasciarsi ingannare dai luoghi comuni, non
indulgere in pregiudizi, verificare il verificabile con i propri occhi,
ascoltare i diversi punti di vista prima di prendere posizione, cercare
soluzioni nuove a problemi vecchi, sono solo alcuni degli spunti che permettono
di esercitare e ritrovare la capacità di usare la testa in modo attivo, libero e
autonomo.
Riflettere prima di parlare
La parola ha un immenso potere. Con un affermazione possiamo illuminare o
rabbuiare una giornata o una intera vita. Spesso le nostre risposte agli altri e
alla vita sono stereotipate, dettate dall’abitudine, mancano della sensibilità
necessaria per valutare la situazione contingente e l’impatto che avranno sui
questa. Basta una frazione di secondo per passare al vaglio della consapevolezza
ciò che si sta per dire.
Esercitarsi all’originalità
Perché fare tutto quello che anche gli altri fanno, andare in vacanza negli
stessi posti, vestirsi nello stesso modo, leggere gli stessi libri e fare le
stesse battute? La vita non offre forse abbastanza possibilità per trovare
ognuno il nostro modo di scegliere come essere e come mostrarci, compatibilmente
a ciò che siamo, a ciò che ci piace, a ciò che davvero vogliamo esprimere in
ogni diverso momento?
Attualizzare la scala di valori
Quali sono i valori per noi più importanti? Quelli sui quali non siamo disposti
a transigere, quelli per i quali siamo capaci anche di lottare? Chiederci
periodicamente quali sono per noi le cose importanti nella vita – e potranno
anche variare nel tempo – ci consente di accompagnare momento per momento la
nostra crescita, di essere presenti a ciò che siamo e di preparare il terreno
per ciò che vogliamo diventare.
Marcella Danon
Pubblicato il 10-04-2006 su
www.lifegate.it
OTTOBRE 2006
“Con l’atteggiamento sbagliato, sareste in grado di trasformare
qualsiasi cosa in un problema.”
Il bambino teneva per mano suo padre, mentre camminavano verso il dormitorio del
campo di concentramento.
Il bambino guardava ogni cosa che vedeva con aria preoccupata. Il padre gli
sorrideva e lo tranquillizzava con dolcezza: non si trattava che di un gioco,
una gara in cui c’era solo che da divertirsi.
Il padre trasformò l’esperienza di terrore del bambino in un gioco con certe
regole. Se avessero vinto, spiegava il padre, gli avrebbero dato un carro
armato. Vero.
Il film “La vita è bella” è un fantastico esempio della forza che deriva
dall’avere un atteggiamento straordinario.
La storia è quella di un padre che aiuta il proprio figlioletto ad acquisire una
prospettiva diversa sul significato dell’essere prigionieri in un campo di
concentramento durante la seconda guerra mondiale.
Molto simile a questa è la storia, questa volta veramente accaduta, di Victor
Frankl che, fatto prigioniero durante la seconda guerra mondiale, dovette
affrontare le esperienze più orribili che si possa immaginare e, nonostante ciò,
continuò a conservare un atteggiamento di speranza, forte e determinato.
Fu torturato e lungamente sottoposto ad ogni genere di abuso e, nonostante ciò,
si rifiutò di sviluppare un senso di disperazione.
Una volta, il mio amico Barry mi descrisse un fantastico atteggiamento che ha
fatto suo. Qualsiasi cosa accada nella sua vita, lui pensa: “Potrebbe essere la
cosa migliore che mi sia mai capitata”.
Barry si impegna a sostenere questo atteggiamento, perché lo aiuta a
focalizzarsi su ciò che c’è di positivo in ogni situazione.
Il vostro atteggiamento è in assoluto l’aspetto più importante del vostro modo
di pensare.
Con l’atteggiamento sbagliato, sareste in grado di trasformare qualsiasi cosa in
un problema. Con l’atteggiamento sbagliato, sareste in grado di creare degli
ostacoli insormontabili là dove non ce n’erano.
Con l’atteggiamento sbagliato, sareste in grado di trasformare ciascuna
situazione nella più problematica delle esperienze.
Con l’atteggiamento giusto, sarete in grado di trasformare i problemi in
soluzioni. Con l’atteggiamento giusto, sarete in grado di spianare le montagne
che si pongono sul vostro cammino. Con l’atteggiamento giusto, sarete in grado
di trasformare ogni situazione, anche la più problematica, nella più
gratificante delle esperienze.
Il vostro atteggiamento è il modo in cui scegliete di pensare alle cose.
Consiste nel modo in cui scegliete di pensare a voi stessi, agli altri e al
mondo. Il vostro atteggiamento è fatto di una serie di convinzioni e sensazioni
che dipendono dal modo in cui avete processato la vostra interpretazione delle
esperienze che avete vissuto. La PNL, per come viene sempre descritta, è
prevalentemente un atteggiamento. Chiesi a Richard di parlarmene.
Dal NUOVO LIBRO di Owen Fitzpatrick e Richard Bandler: PNL È LIBERTÀ – NLP ITALY
”Su questo blog ultimamente stiamo esplorando le sfide che il mondo si trova ad
affrontare, e le modalità con cui possiamo accoglierle.
Ieri il presidente Bush si è rivolto all’assemblea generale delle nazioni unite.
Ha parlato di una lotta fra estremisti e moderati in cerca della pace. Ha detto
che è in gioco il futuro del mondo.
Concordo con le sue parole. L’unico punto su cui il sig. Bush ed io potremmo
essere in disaccordo è la definizione di “estremisti” e di “moderati”. E questo
potrebbe essere l’argomento di una ulteriore discussione. Ma su una cosa siamo
tutti d’accordo, e cioè che sono gli estremisti radicali — che usano la violenza
contro gli astanti innocenti come mezzo per plasmare le circostanze e le
condizioni a loro piacimento — a costituire la maggiore minaccia alla vita quale
la conosciamo su questo pianeta.
Tuttavia è “la vita quale la conosciamo” che deve essere esaminata per poter
arrivare alla base della causa dell’estremismo radicale. E’ stata l’umanità
intera a creare condizioni sulla terra che producono la gioia e la meraviglia
della “bella vita” per una piccolissima percentuale di persone, mentre la
percentuale più grossa soffre l’ ansietà, la pena ed il tormento di una vita
disagiata. E ci sono anche quelli che pensano che ciò non abbia nulla a che fare
— o perlomeno che non dovrebbe avere nulla a che fare — con il malcontento
rabbioso che molta gente prova. Ma c’entra, eccome!
Nei luoghi dove le persone sono felici e contente, vi è la pace. Dove la gente
si sente oppressa e sfruttata, regna la rabbia. Laddove la rabbia non sia
calmata, si espande. Se l’espansione della rabbia non viene arrestata, diventa
odio. Se l’odio non viene scoraggiato, diventa violenza. Se la violenza non
viene rifiutata, porta all’uccisione di vite innocenti.
Ci dev’essere un modo migliore, e in effetti c’è. L’esplorazione del precedente
procedimento ci porta indietro alla premessa originale: quando la gente è felice
e contenta è in pace. Ciò porta, a sua volta, alla domanda inevitabile: cosa ci
vuole per rendere la gente felice e contenta?
La sorprendente risposta non è quella che ci aspetteremmo. Non è la ricchezza o
l’abbondanza o l’accumulare cose materiale. E’ la pace interiore. Un senso di
sicurezza e di stabilità, la certezza che le nostre necessità basilari sono
garantite, la libertà di esprimere totalmente la meraviglia del proprio Sè
Superiore attraverso esperienze creative e spirituali che riflettano i nostri
desideri più profondi e la nostra consapevolezza interiore. E la fine della
nostra estraniazione e separazione dagli altri e dal Divino.
Ciò che noi cerchiamo è la fine della separazione. In ultimo, è la fine
dell’estraniazione ciò che desideriamo. Perchè sappiamo, nel profondo del nostro
essere, che siamo tutti Uno, e che cerchiamo eternamente e seriamente
l’esperienza dell’Unità, della Fusione. E’ ciò che ci spinge a metterci insieme
formando famiglie, è ciò che all’origine crea la famiglia.
L’estraniazione è ciò che crea la mancanza di chiarezza su Chi Siamo e Perchè
Siamo Qui. Confonde la questione e ottunde la nostra conoscenza della Vita e del
suo Scopo. Causa una perdita di identità, separandoci non solo dagli altri, ma
anche da noi stessi — e dal nostro Sé.
La soluzione ai problemi del mondo è la Fine dell’Estraniazione, e questa
avverrà quando metteremo fine alla Teologia della Separazione — quella che
insiste ostinatamente sul fatto che siamo separati l’uno dall’altro, mentre in
realtà non c’è nessuna separazione, nessuna qualsivoglia.
Questo è il Nuovo Vangelo che possiamo spartire con l’umanità intera; questo è
il Nuovo Messaggio che possiamo rendere disponibile affinché tutti lo possano
udire. Perchè la verità di questo messaggio apparirà non appena esso verrà udito
e totalmente compreso — ma la sua voce è soffocata dalle grida di coloro che si
raffigurano come figli di un dio minore.
Ci vorrà un po’ di tempo perché questo messaggio ottenga il suo posto nel
mercato delle idee. Il messaggio opposto, — quello dell’Estraniazione, la
Teologia della Separazione — è sotto le luci della ribalta da troppi secoli e
millenni.
Il problema della Teologia della Separazione sta nel fatto che produce una
Cosmologia della Separazione (vale a dire un’immagine del mondo quale un
conglomerato di entità, energie ed effetti che non hanno nulla a che fare uno
con l’altro, e che non condividono altro che una relazione superficiale). Questa
Cosmologia della Separazione produce una Sociologia della Separazione, che a sua
volta produce la Patologia della Separazione. Il risultato di tutto ciò: una
specie umana profondamente divisa da se stessa, che trova modo di litigare anche
per le più piccole questioni, e che crea odio reciproco attraverso una
dichiarazione di amore per Dio.
Avete sentito? Avete visto solo con gli occhi ciò che ho scritto, oppure avete
interiorizzato completamente la triste verità? Abbiamo prodotto odio reciproco
attraverso una dichiarazione di amore per Dio.
Questa è, come abbiamo detto ieri in un altro contesto, una dinamica che ha
contribuito a scavare le fondamenta per il corrente aumento del supporto offerto
a gruppi estremisti politici e religiosi in tutto il mondo, e per il
radicalismo.
I semi del malcontento sono stati piantati molto tempo fa. Non è accaduto da un
giorno all’altro. Sono stati piantati attraverso il tramandarsi delle opinioni
della Storia Culturale su Chi Siamo, su Chi e Che Cosa E’ Dio, su Cosa E’ la
Vita e su Cosa Dio Vuole, nelle scuole, nelle yeshivas, nelle madrassas, e in
tutti gli altri luoghi dove i bambini imparano cose sul mondo che li circonda e
sugli adulti che essi amano e che desiderano emulare. Le nostre idee sugli altri
e sulla Vita sono state piantate nelle nostre menti da coloro che sono venuti
prima di noi, e che ci dicono le cose che vogliono che noi sappiamo e capiamo —
indipendentemente dal fatto che esse siano fattivamente e spiritualmente precise
o No.
La Vita informa la Vita sulla Vita attraverso il processo della Vita stessa.
Pertanto, la nostra soluzione decennale relativa ai problemi che il mondo
affronta oggi, è l’Educazione. Un programma di educazione così straordinario,
così visionario, così ispirato e spettacolare da infiammare nuovamente il cuore
umano con il fuoco interiore dell’amore per tutta la Vita, per tutto ciò che la
Vita ha permesso di esprimere in forma vivente, e per il Processo della Vita
stessa... che qualcuno di noi chiama Dio.
Il problema del mondo oggi non è un problema politico, né un problema economico,
e certamente neppure un problema militare. Il problema del mondo oggi è un
problema spirituale — e può essere risolto solamente attraverso soluzioni
spirituali. Vale a dire cambiando le nostre credenze. Sugli altri, sulla Vita
Stessa e, sì, anche su Dio — che E’ la Vita Stessa, in forma manifesta.
Non sono l’unico a credere in ciò, come vedremo nelle pagine che verranno. Nel
frattempo, per favore parlate agli altri di questo “blog”. La nostra intenzione
è che questa esplorazione ci porti dove deve portarci, e abbiamo bisogno del
vostro aiuto per arrivarci. Fate in modo che altri leggano queste pagine, fatelo
oggi.
Siate benedetti.”
Neale Donald Walsch
SETTEMBRE 2006
Nasce a Modena il gruppo di studio sulle tradizioni violente.
Recentemente lo psicologo americano Frank Ascione, professore di psicologia
dell'Universita' dello Utah e Camilla Pagani, psicologa del Consiglio Nazionale
delle Ricerche di Roma, hanno compiuto una ricerca sul comportamento violento
dei bambini nei confronti degli animali: una volta su cinque la ragione che
spinge a compiere atti di violenza nei confronti di animali e' il semplice
divertimento, e i bambini e gli adolescenti crudeli verso gli animali hanno una
maggiore probabilita' di manifestare in eta' adulta comportamenti violenti e
antisociali generalizzati e ripetuti.
Altri studi scientifici effettuati a livello internazionale negli anni passati
da noti psicologi, mostrano come la moralita' si sviluppi tramite un
apprendimento sociale che varia a seconda del contesto in cui si vive: criteri
morali assorbiti nell'infanzia e durante l'adolescenza dal contesto familiare e
sociale, verranno poi mantenuti in eta' adulta, anche in situazioni diverse.
Prendendo spunto da queste ricerche nasce in Italia il Gruppo di Studio sulle
Tradizioni Violente, composto e supportato da associazioni che operano in vari
settori per la tutela dei bambini e, piu' in generale, a favore delle vittime di
violenza. Si tratta di educatori, pedagogisti, psicologi, avvocati e ricercatori
che lavorano anche a programmi terapeutici.
"In Italia si convive con molteplici tradizioni in cui gli animali vengono
maltrattati dall'uomo a scopo ludico. Alcuni esempi sono le feste di paese e
religiose, i palii, i circhi, la caccia e la pesca sportiva" dichiara Francesca
Sorcinelli, coordinatrice del gruppo di studio. "Tutte queste attivita' che
dovrebbero divertire adulti e bambini provocano sofferenza psicologica e fisica
evidente agli animali, e persino la morte, e rischiano di danneggiare la
naturale empatia del bambino impedendogli di riconoscere i segnali di sofferenza
e di dolore di altri esseri viventi". Eppure, i primi anni di vita, in
particolare dai sei ai tredici anni, hanno un'importanza straordinaria: in quel
periodo si forma la concezione morale degli individui e perciò della società.
Il Gruppo di Studio sulle Tradizioni Violente nasce con lo scopo di proteggere
bambini e adolescenti da quelle tradizioni che nascondono, dietro a un velo di
apparente normalita', dei modelli che, se acquisiti, rischiano di indurre
espressioni di violenza nel bambino e di deviare la sua moralita' in fase di
formazione. "Il ruolo dei genitori e delle istituzioni e' fondamentale" conclude
la portavoce del Gruppo di Studio "ed e' per questo che invitiamo tutti gli
specialisti del settore a prendere visione della documentazione da noi raccolta
e collaborare con noi in programmi mirati".
Gruppo di Studio sulle Tradizioni Violente 3385221494 www.tradizioniviolente.org
LUGLIO 2006
Il discorso pronunciato da Steve Jobs, CEO di Apple e di Pixar il 12 giugno 2005, in occasione della cerimonia annuale per il conferimento delle lauree a Stanford.
« Sono onorato di essere qui con voi oggi, nel giorno della vostra laurea presso
una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. A dir la
verità, questa è l’occasione in cui mi sono avvicinato di più ad un conferimento
di titolo accademico. Oggi voglio raccontarvi tre episodi della mia vita. Tutto
qui, nulla di speciale. Solo tre storie.»
La prima storia parla di “unire i puntini”.
Ho abbandonato gli studi al Reed College dopo sei mesi, ma vi sono rimasto,
senza essere iscritto, per altri diciotto mesi, prima di lasciarlo
definitivamente. Allora perchè ho smesso?
Tutto è cominciato prima che io nascessi. La mia madre biologica era laureanda
ma era una ragazza-madre, perciò, decise di darmi in adozione. Desiderava
ardentemente che io fossi adottato da persone laureate, così tutto fu pronto
affinché ciò avvenisse alla mia nascita da parte di un avvocato e di sua moglie.
All’ultimo minuto, appena nato, questi ultimi decisero che avrebbero preferito
una femminuccia. Così quelli che poi sarebbero diventati i miei “veri” genitori,
che allora si trovavano in una lista d’attesa per l’adozione, furono chiamati
nel bel mezzo della notte e venne chiesto loro: “Abbiamo un bimbo, un
maschietto, ‘non previsto’; volete adottarlo?”. Risposero: “Certamente”. La mia
madre biologica venne a sapere successivamente che mia mamma non aveva mai
ottenuto la laurea e che mio padre non si era mai diplomato, per questo si
rifiutò di firmare i moduli definitivi per l’adozione. Tornò sulla sua decisione
solo qualche mese dopo, quando i miei genitori adottivi le promisero che un
giorno sarei andato all’università.
Infine, diciassette anni dopo ci andai. Ingenuamente scelsi un’università che
era costosa quanto Stanford, così tutti i risparmi dei miei genitori sarebbero
stati spesi per la mia istruzione accademica. Dopo sei mesi, non riuscivo a
comprenderne il valore: non avevo idea di cosa avrei fatto nella mia vita e non
avevo idea di come l’università mi avrebbe aiutato a scoprirlo. Inoltre, come ho
detto, stavo spendendo i soldi che i miei genitori avevano risparmiato per tutta
la vita, così decisi di abbandonare, avendo fiducia che tutto sarebbe andato
bene lo stesso. Ok, ero piuttosto terrorizzato all’epoca, ma guardandomi
indietro credo sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso.
Nell’istante in cui abbandonai potei smettere di assistere alle lezioni
obbligatorie e cominciai a seguire quelle che mi sembravano interessanti.
Non era tutto così romantico al tempo. Non avevo una stanza nel dormitorio,
perciò dormivo sul pavimento delle camere dei miei amici; portavo indietro i
vuoti delle bottiglie di coca-cola per raccogliere quei cinque cent di deposito
che mi avrebbero permesso di comprarmi da mangiare; ogni domenica camminavo per
sette miglia attraverso la città per avere l’unico pasto decente nella settimana
presso il tempio Hare Krishna. Ma mi piaceva. Gran parte delle cose che trovai
in quel periodo sulla mia strada per caso o grazie all’intuizione si sono
rivelate inestimabili più avanti. Lasciate che vi faccia un esempio:
il Reed College a quel tempo offriva probabilmente i migliori corsi di
calligrafia del paese. Nel campus ogni poster ed ogni etichetta sui cassetti
erano scritti in splendida calligrafia. Siccome avevo abbandonato i miei studi
‘ufficiali’ e pertanto non dovevo seguire le classi come previsto dal piano di
studio, decisi di seguire un corso di calligrafia per imparare come riprodurre
quanto di bello avevo visto là attorno. Ho imparato dai caratteri serif e sans
serif, a come variare la spaziatura tra differenti combinazioni di lettere e
cosa rende la migliore tipografia così grande. Era bellissimo, antico e così
artisticamente delicato che la scienza non avrebbe potuto ‘catturarlo’ e trovavo
ciò affascinante.
Nulla di tutto questo sembrava avere speranza di applicazione pratica nella mia
vita, ma dieci anni dopo, quando stavamo progettando il primo computer
Machintosh, mi tornò utile. Progettammo così il Mac: era il primo computer della
bella tipografia. Se non avessi abbandonato gli studi, il Mac non avrebbe avuto
multipli caratteri e font spazialmente proporzionate. E se Windows non avesse
copiato il Mac, nessun personal computer ora le avrebbe. Se non avessi
abbandonato, se non fossi incappato in quel corso di calligrafia, i computer
oggi non avrebbero quella splendida tipografia che ora possiedono. Certamente
non era possibile all’epoca ‘unire i puntini’ e avere un quadro di cosa sarebbe
successo, ma tutto diventò molto chiaro guardandosi alle spalle dieci anni dopo.
Vi ripeto, non potete sperare di unire i puntini guardando avanti, potete farlo
solo guardandovi alle spalle: dovete quindi avere fiducia che, nel futuro, i
puntini che ora vi appaiono senza senso possano in qualche modo unirsi nel
futuro. Dovete credere in qualcosa: il vostro ombelico, il vostro karma, la
vostra vita, il vostro destino, chiamatelo come volete... questo approccio non
mi ha mai lasciato a terra e ha fatto la differenza nella mia vita.
La mia seconda storia parla di amore e di perdita.
Fui molto fortunato - ho trovato cosa mi piacesse fare nella vita piuttosto in
fretta. Io e Woz fondammo la Apple nel garage dei miei genitori quando avevo
appena vent’anni. Abbiamo lavorato duro e in dieci anni Apple è cresciuta da noi
due soli in un garage sino ad una compagnia da due miliardi di dollari con oltre
quattromila dipendenti. Avevamo appena rilasciato la nostra migliore creazione -
il Macintosh - un anno prima e avevo appena compiuto trent’anni... quando venni
licenziato. Come può una persona essere licenziata da una Società che ha
fondato? Beh, quando Apple si sviluppò assumemmo una persona - che pensavamo
fosse di grande talento - per dirigere la compagnia con me e per il primo anno
le cose andarono bene. In seguito però le nostre visioni sul futuro cominciarono
a divergere finché non ci scontrammo. Quando successe, il nostro Consiglio di
Amministrazione si schierò con lui. Così a trent’anni ero a spasso. E in maniera
plateale. Ciò che aveva focalizzato la mia intera vita adulta non c’era più e
tutto questo fu devastante.
Non avevo la benché minima idea di cosa avrei fatto, per qualche mese. Sentivo
di aver tradito la precedente generazione di imprenditori, che avevo lasciato
cadere il testimone che mi era stato passato. Mi incontrai con David Packard e
Bob Noyce e provai a scusarmi per aver mandato all’aria tutto così malamente:
era stato un vero fallimento pubblico e arrivai addirittura a pensare di
andarmene dalla Silicon Valley. Ma qualcosa cominciò a farsi strada dentro di
me: amavo ancora quello che avevo fatto e ciò che era successo alla Apple non
aveva cambiato questo di un nulla. Ero stato rifiutato, ma ero ancora
innamorato. Così decisi di ricominciare.
Non potevo accorgermene allora, ma venne fuori che essere licenziato dalla Apple
era la cosa migliore che mi sarebbe potuta capitare. La pesantezza del successo
fu sostituita dalla soavità di essere di nuovo un iniziatore, mi rese libero di
entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita.
Nei cinque anni successivi fondai una Società chiamata NeXT, un’altra chiamata
Pixar e mi innamorai di una splendida ragazza che sarebbe diventata mia moglie.
La Pixar produsse il primo film di animazione interamente creato al computer,
Toy Story, che ora è lo studio di animazione di maggior successo nel mondo. In
una mirabile successione di accadimenti, Apple comprò NeXT, ritornai in Apple e
la tecnologia che sviluppammo alla NeXT è nel cuore dell’attuale rinascimento di
Apple. E io e Laurene abbiamo una splendida famiglia insieme.
Sono abbastanza sicuro che niente di tutto questo mi sarebbe accaduto se non
fossi stato licenziato dalla Apple. Fu una medicina con un sapore amaro, ma
presumo che ‘il paziente’ ne avesse bisogno. Ogni tanto la vita ci colpisce
sulla testa come un mattone. Non perdete la fiducia, però. Sono convinto che
l’unica cosa che mi ha aiutato ad andare avanti sia stato l’amore per ciò che
facevo. Dovete trovare le vostre passioni, e questo è vero tanto per il/la
vostro/a findanzato/a che per il vostro lavoro. Il vostro lavoro occuperà una
parte rilevante delle vostre vite e l’unico modo per esserne davvero soddisfatti
sarà fare un gran bel lavoro. E l’unico modo di fare un gran bel lavoro è amare
quello che fate. Se non avete ancora trovato ciò che fa per voi, continuate a
cercare, non fermatevi, come capita per le faccende di cuore, saprete di averlo
trovato non appena ce l’avrete davanti. E, come le grandi storie d’amore,
diventerà sempre meglio col passare degli anni. Quindi continuate a cercare
finché non lo trovate. Non accontentatevi.
La mia terza storia parla della morte.
Quando avevo diciassette anni, ho letto una citazione che recitava: “Se vivi
ogni giorno come se fosse l’ultimo, uno di questi ci avrai azzeccato”. Mi fece
una gran impressione e, da quel momento, per i successivi trentatrè anni mi sono
guardato allo specchio ogni giorno e mi sono chiesto: “Se oggi fosse l’ultimo
giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni volta
che la risposta era “No” per troppi giorni consecutivi sapevo di dover cambiare
qualcosa.
Ricordare che sarei morto presto è stato lo strumento più utile che abbia mai
trovato per aiutarmi nel fare le scelte importanti nella vita. Perché quasi
tutto - le aspettative esteriori, l’orgoglio, la paura e l’imbarazzo per il
fallimento - sono cose che scivolano via di fronte alla morte, lasciando
solamente ciò che è davvero importante. Ricordarvi che state per morire è il
miglior modo per evitare la trappola rappresentata dalla convinzione che abbiate
qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione perché non seguiate il
vostro cuore.
Un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Effettuai una scansione alle
sette e trenta del mattino che mostrava chiaramente un tumore nel mio pancreas.
Fino ad allora non sapevo nemmeno cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero
che con ogni probabilità era un tipo di cancro incurabile e che avevo
un’aspettativa di vita non superiore ai tre-sei mesi. Il mio dottore mi
consigliò di tornare a casa ‘a sistemare i miei affari’, che è un modo per i
medici di dirti di prepararti a morire. Significa che devi cercare di dire ai
tuoi figli tutto quello che avresti potuto dire nei successivi dieci anni, in
pochi mesi. Significa che devi fare in modo che tutto sia a posto, così da
rendere la cosa più semplice per la tua famiglia. Significa che devi pronunciare
i tuoi ‘addio’.
Ho vissuto con quella spada di Damocle per tutto il giorno. In seguito quella
sera ho fatto una biopsia, dove mi infilarono una sonda nella gola, attraverso
il mio stomaco fin dentro l’intestino, inserirono una sonda nel pancreas e
prelevarono alcune cellule del tumore. Ero in anestesia totale, ma mia moglie,
che era lì, mi disse che quando videro le cellule al microscopio, i dottori
cominciarono a gridare perché venne fuori che si trattava una forma molto rara
di cancro curabile attraverso la chirurgia. Così mi sono operato e ora sto bene.
Questa è stata la volta in cui mi sono trovato più vicino alla morte, e spero lo
sia per molti decenni ancora. Essendoci passato, posso dirvi ora qualcosa con
maggiore certezza rispetto a quando la morte per me era solo un puro concetto
intellettuale:
nessuno vuole morire. Anche le persone che desiderano andare in paradiso non
vogliono morire per andarci. E nonostante tutto la morte rappresenta l’unica
destinazione che noi tutti condividiamo, nessuno è mai sfuggito ad essa. Questo
perché è come dovrebbe essere: la Morte è la migliore invenzione della Vita. E’
l’agente di cambio della Vita: fa piazza pulita del vecchio per aprire la strada
al nuovo. Ora come ora ‘il nuovo’ siete voi, ma un giorno non troppo lontano da
oggi, gradualmente diventerete ‘il vecchio’ e sarete messi da parte. Mi dispiace
essere così drammatico, ma è pressappoco la verità.
Il vostro tempo è limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di
qualcun’altro. Non rimanete intrappolati nei dogmi che vi porteranno a vivere
secondo il pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni
altrui zittisca la vostra voce interiore. E, ancora più importante, abbiate il
coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione: loro vi guideranno
in qualche modo nel conoscere cosa veramente vorrete diventare. Tutto il resto è
secondario.
Quando ero giovane c’era una pubblicazione splendida che si chiamava 'The whole
Earth catalogé', che è stata una delle bibbie della mia generazione. Fu creata
da Steward Brand, non molto distante da qui, a Menlo Park, e costui apportò ad
essa il suo senso poetico della vita. Era la fine degli anni Sessanta, prima dei
personal computer, ed era fatto tutto con le macchine da scrivere, le forbici e
le fotocamere polaroid: era una specie di Google formato volume, trentacinque
anni prima che Google venisse fuori. Era idelista e pieno di concetti chiari e
nozioni speciali.
Steward e il suo team pubblicarono diversi numeri di 'The whole Earth catalog',
e quando concluse il suo tempo, fecero uscire il numero finale. Era la metà
degli anni Settanta e io avevo pressappoco la vostra età. Nella quarta copertina
del numero finale c’era una fotografia di una strada di campagna nel primo
mattino, del tipo che potete trovare facendo autostop se siete dei tipi così
avventurosi. Sotto, le seguenti parole: “Siate affamati. Siate folli”. Era il
loro addio e ho sperato sempre questo per me. Ora, nel giorno della vostra
laurea, pronti nel cominciare una nuova avventura, auguro questo a voi.
Siate affamati. Siate visionari.
GIUGNO 2006
di Barbara Stahura
tratto dal libro di Bruce Lipton
Durante il periodo in cui Bruce Lipton lavorava come ricercatore e professore
alla scuola di medicina, fece una sorprendente scoperta sui meccanismi biologici
attraverso i quali le cellule ricevono ed elaborano le informazioni: infatti,
piuttosto che controllarci, i nostri geni sono controllati, sono sotto il
controllo di influenze ambientali al di fuori delle cellule, inclusi i pensieri
e le nostre credenze. Questo prova che non siamo degli "automi genetici”
vittimizzati dalle eredità biologiche dei nostri antenati. Siamo, invece, i
co-creatori della nostra vita e della nostra biologia. Lipton descrive questa
nuova scienza, chiamata epigenetica, nel suo libro "The Biology of Belief:
Unleashing the Power of Consciousness, Matter and Mirades" (N.d.T.: Biologia
delle Credenze: Liberare il Potere della Consapevolezza, della Materia e dei
Miracoli, 2005, Mountain of Love/Eli-te Books). Pieno di citazioni e riferimenti
di altri scienziati che conducono, in tale campo, ricerche all'avanguardia,
questo libro potrebbe, letteralmente, cambiare
la vostra vita al suo livello più fondamentale.
Fino alla scoperta dell'epigenetica, si credeva che il nucleo di una cellula,
contenente il DNA, fosse il "cervello" della cellula stessa, del tutto
necessario per il suo funzionamento. Di fatto, come hanno scoperto Lipton ed
altri, le cellule possono vivere e funzionare molto bene anche dopo che i loro
nuclei siano stati asportati. Il vero "cervello" della cellula è la sua
membrana, che reagisce e risponde alle influenze esterne, adattandosi
dinamicamente ad un ambiente in perpetuo cambiamento. Che cosa significa questo
per noi, quali collezioni di cellule chiamati esseriumani? Man mano che
incrociamo le diverse influenze ambientali, siamo noi a suggerire ai nostri geni
cosa fare, di solito inconsciamente. I carboidrati ci fanno ingrassare? Sì, se
lo crediamo. Saremo amati, avremo successo nel lavoro, saremo ricchi? Se ci
crediamo, lo saremo. Lipton ci mostra anche come Darwin avesse torto. La
competizione non è la base dell'evoluzione; non è la sopravvivenza del più forte
che ci permette di sopravvivere e prosperare. Al contrario, dice, dovremmo
leggere l'opera di Jean Baptiste de Lamarck, che venne prima di Darwin e
dimostrò che la cooperazione e la comunità sono la base della sopravvivenza.
Immaginate se ciascuna dei vostri trilioni di cellule decidesse di farcela da
sé, di combattere per essere la regina della collina piuttosto che cooperare con
le cellule compagne. Per quanto sopravvivereste?
Barbara Stahura: La premessa di base della tua ricerca e del tuo libro, The
Biology of Belief, è che il DNA non controlla la nostra biologia.
Bruce Lipton: Sì. Ho cominciato a studiare questo verso la fine degli anni '60.
Da allora la scienza di frontiera ha iniziato a rivelare tutte le cose che avevo
osservato.
I biologi che fanno ricerca d'avanguardia sono a conoscenza di ciò che dico nel
libro. Il pubblico, però, non ne ha comprensione alcuna perché, o gli arriva in
forma abbreviata, o quello che gli viene venduto è la credenza che siamo
controllati dai nostri geni, sebbene ciò non sia sostenuto dalla scienza
d'avanguardia. Tutto il mio sforzo si è concentrato nel far giungere al mondo
l'informazione d'avanguardia. Lorientamento mentale del pubblico è stato
programmato secondo la credenza che siamo degli automi genetici, che i geni
controllano la nostra vita, che ne siamo vittime, e via di seguito. Il punto,
però, è che la scienza di frontiera - quella di cui parlo - si è stabilizzata da
almeno 15 anni. È ora che sia portata nel mondo perché è lì che viene usata.
BS: Questa scienza relativamente nuova sulla quale tu scrivi viene chiamata
epigenetica. Ci spiegheresti di che cosa si tratta?
BL: L’epigenetica è quella scienza che mostra che i geni non si
auto-controllano, ma sono controllati dall'ambiente. Si sa da circa 15 anni e
ora fa finalmente capolino da dietro l'angolo. Ti faccio un esempio. La Società
Americana per il Cancro ha recentemente pubblicato una statistica che afferma
che il 60 per cento dei tumori sono evitabili, cambiando stile di vita e dieta.
Quest'informazione proviene da un'organizzazione che ha cercato per circa 50
anni i geni del cancro. E ora se ne viene fuori dicendo: è lo stile di vita, non
sono i geni. Ci siamo focalizzati sul cancro come se fosse una questione
genetica, ma solo il cinque per cento dei cancri ha una connessione genetica. Il
novantacinque per cento dei cancri in effetti non ha nessuna connessione coi
geni. La ragione (che ci fa dire che c'è una connessione genetica) è che tale
spiegazione è fisica, tangibile, perciò preferiamo lavorare su di essa. E il 95%
delle persone che ha un cancro e non c'è una connessione genetica? Non è facile
fare esperimenti su qualcosa sulla quale non puoi focalizzarti fisicamente.
BS: Così il determinismo genetico - l'idea che siamo controllati dai nostri geni
- è inevitabilmente incrinata, come dici nel libro.
BL: Sì.
BS: Hai scritto anche di Jean-Bap-tiste de Lamarck e della sua teoria
dell'evoluzione - che sopravviviamo attraverso la cooperazione, piuttosto che la
più recente idea darwiniana di competizione e sopravvivenza dei più forti. Che
tutti i nostri trilioni di cellule devono cooperare per mantenere il nostro
corpo in perfetto funzionamento, in quanto noi esseri umani non possiamo
sopravvivere senzagrandissime quantità di cooperazione gli uni con gli altri e
con il nostro ambiente.
BL: Immediatamente, appena hai detto cooperazione, stavi violando la teoria
darwiniana, che è competizione e lotta. Di fatto, si tratta di
un'interpretazione erronea. La nuova scienza ci dice che quella credenza è
sbagliata. La credenza di cui hai appena parlato, invece — la natura della
cooperazione e della comunità - è in effetti il principio basilare
dell'evoluzione.
Nel 1809 Lamarck ha scritto che i problemi che tormenteranno l'umanità verranno
dal suo separarsi dalla natura, e ciò condurrà alla distruzione della società.
Aveva ragione, perché la sua enfasi sull'evoluzione era che un organismo e
l'ambiente creano un'interazione cooperante. Se volete capire il destino di un
organismo, dovete capire la sua relazione con il suo ambiente. Poi ha affermato
che separarci dal nostro ambiente significa assumere la nostra biologia e
tagliarci fuori dalla nostra sorgente. Aveva ragione. E quando arrivi a capire
la natura dell'e-pigenetica, la sua teoria ora ha trovato sostanza. Senza alcun
meccanismo che, all'inizio, le desse un senso - e specialmente da quando abbiamo
comprato il concetto dei biologi neo-darwiniani che affermano che tutto è
controllato geneticamente - Lamarck sembrava stupido. Ma sai cosa? Aveva proprio
ragione.
BS: La tua dimostrazione che il "cervello" della cellula non è il DNA bensì la
sua membrana è affascinante. Che significato ha questa scoperta riguardo a ciò
che pensiamo di noi stessi e della nostra vita, dal momento che siamo proprio
una comunità di cellule?
BL: Se due cellule si uniscono e stanno comunicando, useranno i loro "cervelli"
per farlo, giusto? E se dieci cellule si uniscono, useranno i loro cervelli
affinché la loro comunicazione reciproca abbia un senso. Quando prendi un
insieme di un trilione di cellule, come in un cervello umano, queste opereranno
ancora secondo il principio del cervello cellulare. Beh, quando abbiamo
accettato l'idea che i geni ed il nucleo formano il cervello della cellula — che
ci porta fuoristrada - e la applichiamo come fosse un principio di neurologia o
di neuroscienza, ci siamo già incamminati nella direzione sbagliata. Non puoi
arrivare da nessuna parte perché quello non è il cervello della cellula. I
nostri princìpi su come funziona l'intelligenza sono stati totalmente sviati.
Ecco perché, dopo tanta neuro-scienza, se chiedi a qualcuno: "Come funziona,
veramente, il cervello?" La risposta sarà: "Veramente, non lo sappiamo".
Il Progetto Genoma Umano dice che quel modello è sbagliato. Pensavamo che ci
volessero più di 100.000 geni per far funzionare un essere umano. Il fatto che
ce ne siano meno di 25.000 ha messo un bastone tra le ruote dell'intero
processo. Come può esserci un tale esiguo numero di geni a formare una cosa così
complessa come un essere umano? La risposta è che ci vuole molto di più dei soli
geni a farlo funzionare - che è l'apporto dall'ambiente che può alterare la
lettura dei geni. Ci sono 140.000 proteine in un corpo umano, e si credeva che
ciascuna richiedesse un gene separato per prodursi. Di colpo, trovi che ci sono
25.000 geni e 140.000 proteine, e non ci siamo con i numeri.
L’epigenetica rivela qualcosa di così sorprendente che la scienza stessa ha dei
problemi a comprendere la forza di questo nuovo significato, e suona così: con
il controllo epigenetico, che significa il controllo mediato dall'ambiente, un
singolo gene può essere usato per creare 2000 o più proteine diverse dalla
stessa matrice. Il controllo epigenetico è come un lettore che può leggere
l'impronta originaria e ristrutturarla per produrne qualcosa di diverso. Ed ecco
come un singolo gene può essere usato per creare molti prodotti proteici
differenti. Non è stato il gene che ha prodotto ciascuna proteina, è stato il
controllo epigenetico che l'ha fatto, e questo è il feedback diretto
dall'ambiente. Ci allontana da quel meccanismo che dice che siamo solo macchine.
BS: E ci dice invece che non siamo vittime. Siamo co-creatori.
BL: Assolutamente.
BS: Per tanti l'idea che siano i nostri pensieri a creare la realtà, che è
quello su cui si basa laScienza Religiosa e altre tradizioni metafisiche e
spirituali, è un'idea puramente spirituale. Ma la fisica quantistica ha aggiunto
all'idea il fatto scientifico. E ora, il tuo lavoro e quello di altri porta quel
concetto a livello delle cellule. Che lo rende in qualche modo più reale, più
tangibile.
BL: Se si definisce lo spirito più o meno su questi parametri si potrebbe
ottenere una definizione del tipo "una forza motrice invisibile". Se definisco
la natura della meccanica quantistica, è una forza motrice invisibile. Di fatto
afferma: "Sì, ci sono forze invisibili che modellano la nostra esistenza".
Poiché la nostra biologia è tradizionalmente basata su un concetto newtoniano e
materialistico, la natura di quel sistema è di considerare le forze invisibili
come non rilevanti. Però, quello che la meccanica quantistica ha stabilito è che
le forze motrici invisibili sono tutto. Perciò, se la nostra scienza non si
adatta alla nuova fisica, sta di fatto ostacolando il progresso in evoluzione.
Quando si introducono nuove forze, si deve dar loro nuovo credito, e quando lo
si fa, i ricercatori spirituali saltano su e dicono: lo sapevo! E i fisici
quantistici saltano su e dicono, lo sapevo! Stiamo sempre parlando della stessa
cosa. Se lo ammettessimo, l'opportunità di unione diventa così tangibile che è
quasi fisica. Sì, possiamo sentirla! Ora possiamo essere tutti d'accordo. Tu la
chiami come vuoi, io la chiamo come voglio. Ma siamo tutti governati da queste
forze invisibili.
BS: Ho letto una tua intervista nella quale hai affermato, "piuttosto che esser
vittime dei nostri geni, lo siamo stati delle nostre percezioni". Puoi
aggiungere qualcosa su ciò che significa essere una vittima delle proprie
percezioni?
BL: In un certo senso, sappiamo attraverso lo studio della membrana cellulare,
attraverso lo studio dell'epigenetica, che questo è fondamentale. L’epigenetica
dice che i segnali ambientali influenzano l'espressione genetica e questi
segnali ambientali talvolta sono diretti e tal'altra sono interpre-tazioni, come
quando per esempio le percezioni diventano credenze. Così, ho una credenza su
qualcosa, che è una percezione, e aggiusto la mia biologia su quella particolare
credenza. Come col cancro terminale, se credo a quello che i medici mi dicono,
lo loro diventa una vera e propria predizione. Se dicono che ho il cancro
terminale e sono d'accordo, allora essenzialmente morirò quando, a detta loro,
accadrà. Quali sono le persone che non lo fanno? I casi di "remissione
spontanea". Almeno una persona, scommetto, non ha "comprato" quella diagnosi. E
la sola ragione per la quale ne sono usciti è che avevano un altro sistema di
credenze completamente diverso, e quindi sono stati capaci di cambiarlo.
BS: Come possiamo cambiare le nostre percezioni o credenze fino a quel punto?
BL: La prima cosa è acquisire le nuove percezioni di come funziona la vita.
Lasciare andare o riconsiderare le percezioni con le quali ci siamo formati,
che, inevitabilmente, sono vittimizzanti: sono fragile, l'ambiente mi può
attaccare. La maggior parte di queste percezioni si manifesta come credenze
limitanti o auto-sabotanti su quello che possiamo o non possiamo fare. Quando
eliminiamo questa percezione e iniziamo ad immettere nuove percezioni, allora
cambiarne la risposta della nostra biologia al mondo che ci circonda. Man mano
che cambiamo le nostre percezioni, cambiamo le nostre risposte. Le percezioni
con le quali operi ti danno sostegno o te lo tolgono? Ti rendono più forte o più
debole?
Queste percezioni sono nel subconscio, che controlla il 95 per cento della
nostra vita. E, quando
lo fa, lo fa senza che noi ce ne accorgiamo. Non vediamo di fatto i programmi
che sono automatici. Funzionano perché il conscio è occupato, e i programmi
automatici ne prendono il posto. Quando 11 conscio è occupato a fare qualcosa,
non sta osservando se stesso. Ci sono due fattori che ci aiutano a capire
questo. Uno, la mente cosciente opera con un processore da 40 bit, che significa
che può interpretare ed elaborare 40 bit di stimoli nervosi - un bit è uno
stimolo nervoso - al secondo. Il che significa che entrano 40 stimoli al secondo
e la mente cosciente li discerne e li capisce. La mente subconscia in quello
stesso secondo sta elaborando 40 milioni di bit. Da rilevare: se confronto
l'elaborazione della mente conscia con quella subconscia, la subconscia è un
milione di volte più potente nell'elaborare informazioni. Elemento numero due: i
neuroscienziati cognitivi dicono che il 5 per cento del nostro comportamento
giornaliero è controllato dalla nostra mente cosciente ed il 95 per cento dal
programma subconscio. Perciò nella nostra esistenza quotidiana, la mente
subconscia è la fonte più potente della nostra biologia. La mente subconscia è
un nastro registratore. Non c'è nessuno lì. È praticamente un congegno di
stimolo-risposta. Non c'è bisogno di esserne coscienti. Voi ve ne andate in giro
per il mondo, e farà quello che deve fare senza che dobbiate pensarci.
Quando la mente cosciente è occupata, non sta osservando il subconscio. Ed il
subconscio è composto dai programmi fondamentali che abbiamo ricevuto dagli
altri nei primi sei anni. Mentre si vive la vita con le nostre intenzioni e i
desideri della mente cosciente, il 95 per cento del comportamento viene dalla
mente subconscia, che è stata programmata da altri. E la maggior parte di tale
programmazione è veramente limitante. Non sei abbastanza intelligente, non ti
meriti le cose buone, non sei bravo in disegno o quello che è. Queste
affermazioni diventano programmi subconsci, che si attivano quando non facciamo
attenzione. La mente cosciente nella maggioranza è occupata a pensare al futuro
o al passato. E se il conscio è occupato in questo, nel momento presente, si è
veramente guidati dal subconscio. Il vostro cosciente è occupato a cercare di
pensare: "Mi merito un aumento e di certo dovrei salire di grado in questa
ditta." Mentre lo fate, di certo, state operando dal subconscio, e quello ha un
programma che afferma che non vi meritate le cose. Qual è allora l'espressione
del vostro comportamento? Il comportamento che è coerente con "Non mi merito".
Ciò significa che farete degli errori o altro che renderanno legittimo che non
vi meritiate le cose. Non ve ne rendete conto perché non l'avete visto
all'opera, e diventate frustrati riguardo la vostra vita perché ci provate così
tanto ad avere successo e non andate mai da nessuna parte. E poi, ovviamente, la
tendenza è, non sei tu, è il mondo adostacolarti. La grande e bizzarra sorpresa
è che il mondo vi darà qualsiasi cosa. È il vostro stesso sé che è d'intralcio.
BS: Come facciamo a vincere l'opposizione della nostra programmazione
subconscia?
BL: Diventandone coscienti. Ci sono un paio di modi di farlo. Il modo più antico
è quello dell'attenzione Buddhista. Se sei cosciente di essere qui in questo
momento, mentre fai questo stupido errore, osservi l'errore, e potresti
rimediarlo. La consapevolezza, però, è una cosa molto difficile da addestrare,
ed è anche un processore da 40 bit che cerca di far funzionare completamente il
processore da 40 milioni di bit. Perciò, per la maggior parte della gente, è una
procedura molto difficile perché le loro vite sono così indaffarate e sono
talmente occupati che non riescono a prendere atto di ciò. Un altro modo è: puoi
ritornarci dentro e riscrivere il programma, ma ci sono due cose che devi fare:
A) identificare il programma, e B) eseguire una procedura per riscriverlo.
Quello che riflette è qualcosa alla quale la maggior parte della gente non ha
fatto attenzione ed è da dove vengono la maggior parte dei problemi. Pensano di
potere semplicemente parlare alla mente subconscia e che questo la migliorerà.
Ma la mente subconscia è un nastro registratore. Mettete un nastro nel vostro
mangiacassette, accendetelo, e poi ditegli di riprodurre qualcosa di diverso. Il
fatto è che lì non c'è nessuno. Non farà niente. Ed il potere del pensiero
positivo -la maggior parte della gente dice, il potere del pensiero positivo!
Provalo! E quando non funziona si sentono peggio perché non possono neanche fare
quello. Perché non funziona? Perché se il programma subconscio non è allineato
con la direzione conscia, allora si ha un programma che funziona su un
processore di 40 milioni di bit 95 per cento del tempo, che vi tira giù mentre
voi impiegate il 5 per cento del vostro tempo nella vostra immaginazione
pensando pensieri positivi, mentre il vostro subconscio sta conducendo lo
spettacolo e sabotandovi proprio nel bel mezzo dei vostri pensieri positivi. Il
pensiero positivo funziona solo se le credenze nel subconscio sono in linea con
esso, o se siete completamente attenti. Se siete totalmente attenti ed usate
quel desiderio di essere positivi e far funzionare le cose, allora vi
accorgerete quando il vostro subconscio sta facendo andare un nastro e voi
potete cancellarlo. Ma se non siete attenti e pensate solo pensieri positivi,
allora non state conducendo lo spettacolo. Da qui vengono i conflitti. E,
ovviamente, se voi foste così positivi nella vostra mente e pensaste che state
conducendo lo spettacolo e pensando che non funzioni, ovviamente il mondo vi è
contro. No, il mondo non vi è contro, sono i programmi limitanti ed
auto-sabotanti che acquisiamo in gioventù. Qui è dove dobbiamo azzerarci.
BRUCE LIPTON è un biologo cellulare, uno scrittore e un professore della scuola
del Wisconsin. Le sue ricerche pionieristiche su cloni di cellule sono state di
aiuto nel creare il campo rivoluzionario dell’epigenetica. Il suo libro recente
– The Biology of Belief sarà pubblicato anche in lingua italiana nell’autunno
del 2006.
di Andrea Predi
«Le credenze sono davvero potenti. Ne sono un esempio gli esperimenti condotti
negli anni '30 del Novecento da Slater, il quale costruì degli occhiali che,
grazie ad un gioco di lenti e prismi, facevano sì che chi li indossava vedesse
tutto capovolto. Chiese ad una dozzina di volontari di utilizzare questi
occhiali speciali, anche se ovviamente non era facile vedere sempre il cielo al
posto della terra, ed essi lo fecero, pur con qualche comprensibile difficoltà.
Ad un certo punto, tra la seconda e la terza settimana, accadeva una svolta. Con
indosso gli occhiali, i volontari iniziavano a vedere in modo corretto; se li
toglievano, vedevano tutto capovolto. Dovettero attendere altre due o tre
settimane senza indosso gli occhiali per riacquistare la visione corretta.
Questo esperimento dimostra quanto la nostra forma mentale e le nostre
"Convinzioni" siano potenti e del perché sia così difficile fuggire dalla nostra
prigione: siamo noi stessi a forgiarne le sbarre con il nostro sistema di
credenze.
Ma cosa sono, e come nascono le convinzioni? Ancora una volta ci troviamo di
fronte alla necessità di portare consapevolezza su un fenomeno, per poterlo poi
risolvere. Cominciamo dalla fine: le azioni umane.
Da dove vengono?
Perché agiamo in un modo piuttosto che in un altro?
Cosa ci fa pensare "io sono così", "questo è giusto e questo è sbagliato", "lo
merito o non lo merito"?
Le nostre credenze; e per un gioco di parole, le più potenti sono le credenze di
casa.
Quando siamo bambini non sappiamo come essere umani, lo siamo e basta. Guidati
dal piacere e dalla curiosità esploriamo noi stessi e il mondo, senza giudicare.
I muri della nostra mente sono pressoché puliti, bianchi. Poi i nostri genitori,
i quali essendo adulti hanno la mente zeppa di scritte su cosa sia giusto e cosa
sia sbagliato, cosa sia bene e cosa sia male, su come si debba essere per venire
accettati dagli altri, automaticamente iniziano a scrivere sui nostri muri,
passandoci le loro credenze.
Questo processo viene chiamato educazione, o addomesticamento. Ovviamente, nella
maggior parte dei casi questi "autori" scrivono ciò che hanno appreso e
ritengono più giusto per noi; fanno del loro meglio in base... alle loro
"Convinzioni".
Ogni giorno le credenze vengono ripassate ed ampliate, così dopo pochi anni
diventano apparentemente indelebili. Ciò grazie a due "inchiostri"
particolarmente efficaci: Ripetizione ed Emozione.
I pubblicitari conoscono molto bene questi due potenti mezzi: non è forse
continuando a ripetere uno spot emozionante (donne o uomini nudi, allusioni
sessuali, situazioni comiche, drammatiche o surreali) che ci convincono che
abbiamo bisogno di un dato prodotto?
Le ultime ricerche del biologo Bruce Lipton ci dicono che la natura ha creato un
sistema per facilitare l'apprendimento.
Quando incontra un nuovo stimolo ambientale, il neonato è programmato per
osservare prima di tutto il modo in cui la madre o il padre rispondono al
segnale, decodificando le loro espressioni facciali per apprendere come reagire.
Sia lo stimolo (input) che la risposta comportamentale (output) vengono
memorizzati nel subconscio come percezione acquisita, e rappresentano una
"scorciatoia" per velocizzare le decisioni. Se lo stimolo appare di nuovo, il
comportamento "programmato" viene immediatamente ed inconsciamente applicato.
Il comportamento è quindi basato su di un semplice meccanismo stimolo —
risposta. Questa funzione viene utilizzata per conformare il nuovo nato alla
"voce collettiva", ovvero le credenze della comunità. Per conoscere noi stessi
impariamo a vederci come gli altri ci vedono. Se un genitore (insegnante, prete,
TV etc.) scrive nella mente del bambino una auto-immagine positiva o negativa,
questa percezione viene registrata nel suo subconscio, diventando la "Voce
Collettiva Interna" che dà forma alla fisiologia (peso, salute), ai pensieri ed
al comportamento.
Noi siamo le nostre "Convinzioni", le consultiamo ogni giorno, ogni volta che
riceviamo uno stimolo esterno o interno: esse sono le nostre Verità, le nostre
Personali Tavole della Legge. Il bello è che le nostre scritte non sono tutte
positive o tutte negative. Sono come due muli che tirano la stessa fune in due
direzioni opposte: il risultato è un compromesso tra le due parti.
Ad esempio, mi viene l'idea di aprire un'attività e mettermi in proprio;
immediatamente si attiva il mio Dialogo Interno con frasi che potrebbero
assomigliare molto a quelle che seguono:
Non rischiare! /Chi non risica non rosica.
Chi ti credi di essere?/Bravo! Poveri ma onesti/Sei un bambino intelligente.
E se va male?/Se non provi, non lo puoi sapere.
Quelli come noi non sono fatti per queste cose/Siamo fieri di te! Cosa farò?
Dipende dalla grandezza di queste scritte, e da quanto in profondità saranno
penetrate nella mia mente e nelle mie cellule; la maggior forza dell'uno o
dell'altro gruppo determinerà il mio Pensiero e quindi la mia Azione.
A volte mi sfiora l'idea che ogni essere umano stia facendo del suo meglio, in
base alle sue Scritte nella mente... Attraverso la volontà e l'intento, la
coscienza può cercare di riscrivere queste convinzioni. Sono tentativi che
spesso incontrano vari gradi di resistenze poiché le cellule sono obbligate a
sottostare al programma subconscio. È un processo che richiede sforzo ed
impegno, ma quanto ci costa rimanere in balia delle convinzioni basate sulla
paura?
Le paure dell'Ignoto e del Cambiamento sono sicuramente all'origine della
tendenza a mantenere le cose come stanno, a conservare lo status quo. Galileo,
che di chiusura mentale e di censura era suo malgrado diventato esperto, a sua
volta commentò in questa maniera le affermazioni di Keplero il quale affermava,
nel XVII secolo, che le maree erano causate dalla trazione gravitazionale della
Luna: «Queste sono le follie di un pazzo! Keplero crede nell'azione a
distanza!».
Qualche secolo più tardi, l'Umanità non era cambiata: Einstein, nel 1905,
pubblicò i primi scritti sulla relatività e la meccanica dei quanti; i fisici di
allora, fedeli alle teorie (ormai diventate dogmi) newtoniane, lo attaccarono
duramente.
Max Planck, uno dei fondatori della fisica quantistica, annota nella sua
autobiografia che la scienza progredisce funerale dopo funerale: «Una nuova
verità scientifica non trionfa convincendo i suoi oppositori e facendo loro
vedere la luce, ma piuttosto perché i suoi oppositori alla fine muoiono, ed una
nuova generazione nasce già famigliare con essa».
Tutto sta ad uscire dalle nostre "zone comode". Le "Convinzioni" determinano
anche ciò ' che possiamo o non possiamo fare; esse sono responsabili del lavoro
che facciamo, delle relazioni che abbiamo, del nostro livello economico e
sociale. Le Convinzioni creano nella mente una "zona comoda", vale a dire
un'area di pensiero e di azione dentro la quale mi sento a mio agio. La Zona
Comoda è simile al riscaldamento automatico delle abitazioni: viene impostata
una temperatura, poniamo 20°, ed una soglia di tolleranza che oscilla tra i 18°
ed i 22°. La caldaia si attiva per creare i 20° e poi si spegne; quando i
sensori rilevano che la temperatura nella stanza è scesa al di sotto dei 18°,
automaticamente la caldaia riparte, ricreando il clima ideale e conosciuto.
Questo sistema ci consente di rimanere a nostro agio in ciò che facciamo, ma ci
impedisce di esplorare le enormi potenzialità che dormono in noi».
Ma quanti altri metodi concreti, praticabili, esistono per prendere atto delle
nostre credenze e che ci riportano a quelli accennati dal noto biologo? Recenti
ricerche sul DNA ci suggeriscono che il linguaggio può arrivare a riscriverlo.
Dobbiamo crederci?
Come ricercatori di noi stessi non ci rimane che sperimentare. Di strumenti per
"cancellare e riscrivere" (quando e se è necessario riscrivere) sembra che ce ne
siano.
Per esempio delle modalità di terapia (o psicologia) energetica che consentono
di individuare e
"ri-programmare" le credenze interne, alcune sono antiche di millenni: come lo
Sciamanesimo, o più attuali come la Bioenergetica, la Programmazione Neuro
Linguistica (PNL)...
Ad esse si aggiungono le Terapie basate sull'Energia dei Meridiani, frutto della
fusione tra le conoscenze di Oriente ed Occidente, che comprendono la Thought
Field The-rapy (TFT - La terapia del campo di pensiero) da cui è poi derivata la
Emotional Freedom Technique (tecnica che libera dalle emozioni) detta EFT, una
terapia neuroemozionale che ognuno può autonomamente applicare a se stesso.”
MAGGIO 2006
Si chiamano proprio “neuroni specchio”: si attivano quando compiamo un’azione,
ma anche quando la vediamo compiere. Grazie ad essi riusciamo a metterci nei
panni degli altri. Come si conviene a un avvenimento che ha provocato una
svolta, “la storia di come abbiamo scoperto i neuroni specchio è diventata quasi
un racconto mitico” scherza Giacomo Rizzolatti, neuroscienziato e professore di
fisiologia a Parma, il cui nome risuona nei congressi internazionali, ma che è
rimasto sorprendentemente nascosto al grande pubblico in Italia. All’inizio
degli anni ’90 Rizzolati, il cui laboratorio attira oggi studenti da tutto il
mondo, svolgeva ricerche assieme a giovani scienziati su come funzionano nelle
scimmie i neuroni che controllano i movimenti delle mani. I macachi imparavano a
fissare una lucina su uno schermo, aprivano una scatola di cibo che poi
afferravano e mangiavano. Intanto veniva registrata l’attività dei singoli
neuroni della corteccia motoria accesi durante i movimenti.
Un giorno, per caso, uno dei collaboratori di Rizzolati che stava mangiando un
gelato, o forse un altro che prendeva un pezzetto di banana destinato alla
scimmia (il ricordo preciso si è perso a forza di raccontarlo), si accorse che
gli elettrodi si attivavano anche se la scimmia era immobile. Dopo l’incredulità
iniziale venne la conferma che era davvero così: quei neuroni motori di cui
stavano registrando l’attività scaricavano, come si dice in gergo, non solo
quando era la scimmia a compiere il gesto di portarsi il cibo alla bocca, ma
anche quando l’animale guardava altri eseguire la stessa azione. Queste cellule
cerebrali che sembravano riflettere i gesti altrui presero il nome di neuroni
specchio.
Da allora, molti altri esperimenti hanno mostrato che sistemi analoghi di
neuroni esistono nell’uomo, nella corteccia motoria e in altre parti del
cervello; e che sono probabilmente alla base della nostra capacità di intuire
pensieri e comportamenti altrui, di imparare, imitare azioni e condividere
emozioni. La scoperta di Rizzolati sta profondamente modificando l’idea del
funzionamento del cervello e della mente, come pure provocando ricadute in
numerose altre discipline: psicologia, antropologia, filosofia, teorie
sull’origine del linguaggio e sull’autismo.
In un libro scritto a quattro mani con Corrado Sinigaglia, docente di filosofia
della scienza dell’Università di Milano, Rizzolati racconta la storia dei
neuroni specchio e la rivoluzione che le sue scoperte hanno portato in altre
discipline.
Che cosa c’è di tanto sorprendente nel fatto che alcuni neuroni rispecchiano le
azioni degli altri, ha chiesto Panorama a Rizzolati e Sinigaglia, incontrati
appena prima dell’uscita di So quel che fai – Il cervello che agisce e i neuroni
specchio (Cortina). “Siamo abituati a pensare al cervello come a una specie di
calcolatore che elabora gli stimoli provenienti dai sensi e li traduce in
comandi per i muscoli. I neuroni specchio, invece, ci dicono che il nostro
cervello è un cervello che rivive le azioni degli altri e così, automaticamente,
è in grado di capire i gesti e di afferrarne le intenzioni” risponde Rizzolati.
“Mettersi nei panni degli altri, insomma, dal punto di vista dell’attività
cerebrale non è solo un modo di dire”. “ Non sapremmo mai che cosa gli altri
stanno davvero facendo se non rivivessimo, in senso motorio, le loro azi0oni nel
nostro cervello”, aggiunge Senigaglia.
E pare che sia letteralmente così. Nel cervello di un ballerino classico, come
hanno poi mostrato esperimenti condotti dai ricercatori sull’onda della scoperta
di Rizzolati, la vista di un altro danzatore che si muove sulle punte attiva i
neuroni specchio in modo molto più marcato che in una persona che non sa
ballare, o in chi è esperto di balli moderni ma non di danza classica. Ed è
comune a tutti l’esperienza di puntare il piede guardando un atleta che sta per
saltare, come se fossimo noi stessi a spiccare il salto..
Ma non è solo questione di movimenti e azioni. “Anche le capacità più alte e
nobili, come ragionare e formare concetti rimarrebbero misteriose e
incomprensibili se i neuroni specchio non ci permettessero di afferrare
immediatamente, senza alcun ragionamento, quello che gli altri fanno e
intendono, replicandolo nel nostro cervello” afferma Sinigaglia. Una concezione
che i neuroscienziati stessi faticano ancora ad accettare, anche se Vilayanur
Ramachandra, uno tra i più famosi neuropsicologi, ha dichiarato che i “neuroni
specchio rappresenteranno un giorno per la psicologia ciò che il dna ha
rappresentato per la biologia”.
Se riconosciamo le azioni altrui rivivendole nel nostro cervello, lo stesso,
come hanno mostrato vari esperimenti, si può dire per le emozioni, che fanno
attivare i neutroni specchio dell’insula, una parte molta antica e misteriosa
del cervello. Una reazione emotiva di dolore o di disgusto risuona dentro di noi
come se la stessimo provando in prima persona. E questo è stato probabilmente
uno strumento prezioso nel corso della nostra evoluzione. “E’ come disporre di
un sistema di monitoraggio dell’ambiente multiplo: la percezione del disgusto di
un altro ci mette sull’avviso. Difficilmente assaggeremo il cibo che l’ha
provocato” dice Sinigaglia.
Emozioni provate da tutti, come la commozione che prende allo stomaco nel vedere
un’altra persona che piange, assumono tutta un’altra luce. “Vedo un bambino
piangere ed è come se piangessi anch’io” osserva Rizzolati. C’è però un dato
sperimentale curioso e da approfondire, secondo lui: “Mentre siamo profondamente
simpatetici verso le emozioni negative, come il dolore, il disgusto,
l’imbarazzo, sembra che lo siamo assai meno per la gioia degli altri”. Siamo
insomma più vicini a qualcuno che soffre che a chi gioisce. Sul perché siamo
fatti proprio così si potrebbe elucubrare a lungo.
Neuroni specchio difettosi, secondo alcuni studiosi, potrebbero essere
all’origine dell’autismo. Un esperimento recente di ricercatori all’Università
della California a Los Angeles ha mostrato che nei bambini autistici, al
contrario che in quelli normali, l’immagine di facce tristi, sorridenti o
impaurite non scatena l’accensione dei neuroni specchio. Gli autistici
sembrerebbero incapaci di leggere la mente degli altri non potendo replicarne i
gesti e le emozioni. “Si capirebbe allora anche perché il mondo fa loro una
paura estrema: tutto diventa imprevedibile” dice Rizzolati.
I Neuroni specchio potrebbero avere il ruolo nel linguaggio, nell’imitazione,
nell’apprendimento dei bambini e in moltissimi altri campi dell’esperienza
umana, come diversi studi stanno cominciando a mostrare. Più di tutto, però,
cambia il modo in cui ci fanno guardare a noi stessi e agli altri. “ La
neurologia, a questo punto, ci dice che non siamo egoisti perfetti, come un
liberalismo male interpretato pretenderebbe, ma siamo per definizione altruisti,
immediatamente accomunati agli altri nelle azioni e nelle emozioni” afferma
Rizzolati. L’inganno, le bugie, l’errore vengono dopo. In origine, conclude
Sinigaglia, “ non è neppure possibile concepire un io senza un noi”.
Chiara Palmerini -Panorama del 2/3/2006
MARZO 2006
"Credo che siano pochi a non condividere la consapevolezza che la scuola abbia
come obiettivo quello di promuovere unicamente abilità scolastiche e trasmettere
conoscenze, per far procedere gli allievi da un livello a quello superiore.
Tuttavia è difficile portare a termine tale obiettivo se, ad esempio, lo
studente è assente, è stato espulso dalla scuola, se sta attraversando un lutto,
o se pensa che la vita sia qualcosa che gli capiti suo malgrado e sulla quale
non ha alcun controllo. Talvolta ci sono studenti che, pur essendo presenti
fisicamente, non lo sono con la mente. Sebbene questi ragazzi siano nelle nostre
classi le loro menti sono "prese" da pensieri che sono di tipo socio/emozionale.
Lo si può comprendere dal fatto che non prestano attenzione, perdono facilmente
la concentrazione, partecipano poco, dimenticano di fare i compiti, spesso
reagiscono aggressivamente.
Per questi ragazzi vengono prese spesso delle decisioni sui programmi, sui
testi, sull'affiancamento di insegnanti di sostegno ma non ci si chiede
realmente quali siano i loro bisogni. I programmi ministeriali, quindi, non
sempre riescono a dare risposta alle necessità dei ragazzi che sono presenti
solo con il corpo e non con la mente….. c'è bisogno di sviluppare competenze che
non sono quelle tipiche di un curriculum scolastico: il controllo degli impulsi,
la gestione dello stress, l'empatia, il sapere come reagire ad una accusa, e il
problem-solving.
Per ottenere che questi ragazzi raggiungano via via i loro livelli di sviluppo
cognitivo superiore occorre incontrarli dove sono e dare loro quelle abilità e
quelle risorse per affrontare e superare gli eventi stressanti, così che possano
essere più abili nel superamento delle richieste scolastiche. Senza queste
competenze socio-emozionali gli eventi stressanti prendono il sopravvento e
impediscono ai nostri allievi di mettere a frutto le proprie potenzialità per il
raggiungimento degli obiettivi scolastici.
In America esistono dei programmi scolastici sull'intelligenza emotiva che
insegnano "il miglior modo di sentirsi, il modo corretto di agire". Io non sono
un ispettore del provveditorato e non so giudicare la veridicità di questa
affermazione. Io tuttavia applico programmi scolastici che comprendono
l'acquisizione di competenze sociali come parte integrante di un programma
sequenziale di comprensione della realtà.
Molte sono le materie che trattiamo:
Controllo degli impulsi
Gestione della rabbia
Empatia
Riconoscimento di similarità e differenze tra le persone
Buone maniere
Monitoraggio di sé stessi
Comunicazione
Valutazione del rischio
Autostima
Problem solving
Presa di decisioni
Pianificazione degli obiettivi
Resistenza alla pressione dei pari
In questi problemi si prevede spesso l'esercizio di risoluzione di problemi che
avvengono nei bar, nei corridoi, in palestra o nel cortile della scuola …….
tuttavia io preferisco un programma che assuma l'ottica della prevenzione:
cioè l'offerta a tutti gli studenti - non solo ai "ragazzi problematici" - di
ridurre la probabilità di comportamenti antisociali o a rischio, in modo tale
che tutti i ragazzi, qualora si trovino nella loro vita ad affrontare eventi
stressanti, possano come affrontarli.
Dopo tutto, quale ragazzo non si è trovato di fronte alla necessità di resistere
agli impulsi?
Quale ragazzo non si è mai trovato di fronte alla necessità di valutare il
rischio?
O a dover fare i conti con la gestione della rabbia?
Insomma programmi di intelligenza emotiva sono importanti proprio per tutti.
Se si considerasse l'intelligenza emotiva come una qualsiasi altra materia la si
penserebbe come lo sviluppo sequenziale di abilità da proporre ogni giorno, ad
ogni bambino, in ogni grado di scuola e tutti gli anni scolastici. E come tutte
le altre materie scolastiche l'insegnante dovrebbe presentare la materia,
illustrare le abilità da acquisire facendo un esempio alla lavagna, dare agli
studenti la possibilità di fare pratica, richiedere che gli studenti applichino
tali abilità in un qualche progetto concreto, e prevedere una "ricompensa", per
quegli studenti che applicano correttamente quello che hanno appreso.
Negli Stati Uniti "presentare-illustrare-pratica-applicazione-ricompensa" sono i
requisiti che ogni materia curricolare deve possedere per essere insegnata nelle
scuole.
Nel New Haven , dove insegno, è previsto un corso che prevede tutti questi
passaggi ed è pensato per ogni giorno, rivolto ad ogni bambino in ogni grado e
scuola in ogni anno: è il programma di sviluppo sociale- insegnamento K-12:
Dalla scuola materna alla terza classe si sviluppano capacità di "consapevolezza
di sé", di
"relazione interpersonale" e di "presa delle decisioni".
Al quarto e quinto anno ci si focalizza sull'"allenamento all'empatia", sul
"controllo degli impulsi" e sulla "gestione della rabbia".
Nelle scuole medie, io insegno proprio in questo grado di scuola, gli studenti
sviluppano abilità di "problemsolving" utilizzando strategie di "gestione dello
stress" e di "identificazione del problema", abilità nello "stabilire obiettivi
raggiungibili" e nel "generare soluzioni diverse", promozione del "pensiero
sequenziale (anticipazione delle conseguenze di un'azione)" e della
"pianificazione". Loro apprendono anche la capacità di resistere alla "pressione
dei pari".
Nelle scuole superiori, infine, gli allievi apprendono a prendere decisioni in
modo consapevole, attraverso la capacità di "assumere il punto di vista degli
altri" e la capacità di riconoscere "rischi ed opportunità".
….. Costruire competenze emotive è…..l'obiettivo che occorrerebbe perseguire in
ogni contesto scolastico."
Il testo è tratto da http://www.sciform.unito.it/ Barbara Sini - Facoltà di Psicologia - Laboratorio di Psicologia delle emozioni - Le informazioni su Karol De Falco sono tratte da www.edutopia.org - THE GEORGE LUCAS EDUCATIONAL FOUNDATION .
Chiediamoci con tutta sincerità: "Mi sento veramente libero?"
Ognuno di noi darà certo risposte diverse: qualcuno dirà si, qualcuno no,
qualcun altro dirà non so. Se siamo tra quelli che hanno risposto si,
esaminiamoci più profondamente e chiediamoci: "In che senso mi sento libero? Se
libertà significa mancanza totale di freni, intesi come restrizione alla
manifestazione della mia personalità, posso dire di esserne veramente esente?
Siamo sempre capaci di comportarci nella maniera che riteniamo più giusta, senza
lasciarci influenzare dal possibile giudizio degli altri? Riusciamo in ogni
circostanza ad esprimere la nostra opinione con sicurezza, ad esternare i nostri
sentimenti nel modo migliore e più consono alla circostanza?"
Se scaviamo veramente a fondo, quasi certamente troveremo delle remore che ci
impediscono di essere quello che vogliamo, delle paure che ci sono state
trasmesse, a livello inconscio, dall'educazione, dalla morale, dalla religione,
dalla società. In definitiva dovremo ammettere di non essere totalmente liberi.
Se cerchiamo di combattere le cause dei vari condizionamenti che ci portiamo
dietro, rischiamo di lanciarci contro i mulini a vento come Don Chisciotte.
L'educazione, le abitudini, la società sono quelle che sono; non sono comunque
dei giganti che ci tengono la spada puntata alla gola per farci ubbidire ai loro
comandi.
I condizionamenti sono stati elaborati come dottrine ed i pensieri negativi sono
forse stati trasmessi da esempi ricevuti in passato. Chi è a decidere se
lasciarsi condizionare o meno, se accettare o meno i pensieri negativi?
Siamo NOI, unicamente NOI!
Perciò sta a noi decidere se vogliamo entrare nella gabbia della prigionia,
accettando ciecamente quanto ci viene presentato come regola di vita,
perché…così fanno tutti gli altri!
Oppure possiamo scegliere di restarne fuori, avendo la consapevolezza che siamo
capaci di vagliare quanto ci viene proposto, di accettare ciò che riteniamo
giusto per noi e rifiutare quello che non sentiamo adeguato alle nostre
aspirazioni. La libertà è, quindi, un fatto totalmente personale.
Se non siamo coscienti della facoltà di scelta che possediamo, saremo facile
preda delle imposizioni dettateci dal conformismo che ci circonda a tutti i
livelli.
Se, invece, riusciamo a scuoterci di dosso questo credo, queste etichette che
altri vorrebbero imporci, ci renderemo conto che non siamo mai stati
prigionieri, che le sbarre della nostra cella erano solo immaginate.
FEBBRAIO 2006
Da Goleman nel suo celebre INTELLIGENZA EMOTIVA abbiamo imparato che per
analfabetismo emotivo si intende * la mancanza di consapevolezza e quindi di
controllo e di gestione delle proprie emozioni e dei comportamenti ad esse
connessi * la mancanza di consapevolezza delle ragioni per le quali ci si sente
in un certo modo * l’incapacità a relazionarsi con le emozioni altrui – non
riconosciute e non rispettate – e con i comportamenti che da esse scaturiscono.
E ancora dalle sue ricerche sappiamo che esso è diffuso nei bambini, nei ragazzi
e nei giovani che studiano, a prescindere dal loro quoziente di intelligenza, e
nei giovani che lavorano e negli adulti, anche a prescindere dalla professione
esercitata e dal livello culturale raggiunto.
Se adesso diamo uno sguardo alla nostra società, e in particolare al settore
della Scuola o a quello della Sanità, possiamo renderci conto che
l’Alfabetizzazione Emotiva non è ancora un obiettivo primario né rispetto
all’educazione alla relazione e alla comunicazione, né rispetto alla salute
psico-fisica, e che nessuna campagna di Alfabetizzazione Emotiva è stata ancora
promossa né in un settore, né nell’altro, diversamente da ciò che è stato fatto
in passato, invece, per vincere l’analfabetismo tout court.
Ma se non sono ancora maturi i tempi per una campagna sociale di massa che possa
alfabetizzare emotivamente, sono ormai maturi i tempi :
perché questo processo si avvii, da subito e in maniera diffusa, nella realtà
delle nostre Scuole di ogni ordine e grado;
perché Educatori, Maestri, Insegnanti e Genitori comincino ad acquisire le
competenze necessarie per insegnare ai bambini, fin dalla più tenera età, e agli
adolescenti a “leggere” e a “scrivere” le proprie emozioni, e a sviluppare
quella abilità che predispone alla pace che è l’EMPATIA, gettando così le basi
per una umanità più sana.
Le Proposte Educative che fanno parte del Progetto FOR MOTHER EARTH® per la
Scuola e la Formazione sono il risultato di diciotto anni di Ricerca sia teorica
che esperienziale che ho portato avanti con Bambini dal Nido in su, con Ragazzi
e con Giovani, con i loro Insegnanti ed Educatori, con Genitori, con Operatori
sociali.
Tali Proposte non hanno assolutamente la pretesa di risolvere tutti i problemi
che i Bambini, i Ragazzi e i Giovani vivono all’interno della Scuola o della
famiglia, o di renderli improvvisamente e magicamente saggi e rispettosi di se
stessi, degli altri e del Pianeta. Credo fortemente, però, che tali proposte
siano un contributo e uno strumento efficace per prevenire i disagi e i problemi
che nascono:
dall’ignoranza emotiva,
dalla sfiducia in se stessi,
dalla mancanza di autostima,
dalla rigidità mentale,
dal mancato sviluppo della Capacità Creativa che costituisce “una marcia in più
nel trovare strade alternative ed efficaci per risolvere i problemi”.
Carmela Lo Presti
“Vi siete mai chiesti quando impariamo a sorridere? Osservando i neonati si è
visto che la maggior parte di loro imparano a sorridere già a due mesi dalla
nascita. C’è chi afferma addirittura, come l’ostetrico britannico Stuart
Campbell, che i bambini sorridano addirittura nell’utero materno. La cosa più
curiosa è che sembra sia stato osservato che solo i primi sorrisi del bambino
sono realmente sinceri e autentici, rimanendo tali fino al compimento del quarto
anno di età, dopodichè il sorriso può assumere anche altri significati come, ad
esempio, la falsità che nasce dall’arte del mentire per gioco. Purtroppo è
nell’età adulta che si tende a sorridere sempre di meno. Anche in questo caso il
sorriso assume significati diversi, infatti, si tende più che altro a ridere
sguaiatamente, sghignazzare, rumoreggiare. Ovviamente, queste tipologie di
sorriso non sono funzionali allo star bene e non ci aiutano ad ottenere i
benefici psicofisici.
Ma perchè sempre più spesso si sente dire che il sorriso ci aiuta a vivere
meglio? Anche se la maggior parte di noi può essere d’accordo con tale
affermazione, quello che risulta difficile è farlo! Troppi pensieri, troppe
decisioni da prendere oppure poco tempo, poca voglia, pochi motivazioni. Forse
qualche dato sulla salute potrebbe aiutarci a trovare qualche “stimolo” in più.
ESISTE UNA RELAZIONE TRA EMOZIONI E SALUTE?
Secondo la psicocardiolgia, scienza che studia le connessioni profonde tra le
emozioni e sistema cardiovascolare: si, esiste una forte relazione tra le
emozioni che proviamo e il nostro benessere psicofisico! Emozioni negative e
stressanti possono, infatti, favorire l’insorgere di malattie patologiche.
Partendo da queste considerazioni gli studiosi hanno, quindi, cercato di
rispondere anche ad un secondo quesito, ovvero: buonumore e ottimismo, possono
rappresentare una buona linea di prevenzione e di cura? Karen Matthews,
psicologa dell’università di Pittsburgh, condusse uno studio su 209 donne sane
in condizione di post-menopausa e scoprì che le più ottimiste tra loro avevano
un ispessimento delle arterie carotidee molto basso, intorno all’1%, mentre le
donne pessimiste avevano un ispessimento carotideo del 6,5%: l’ottimismo aveva
prodotto un effetto benefico sull’organismo e rallentato la progressione
dell’aterosclerosi.
Le ricerche condotte sulla risata si sono dimostrate ugualmente interessanti,
dimostrando alla fine che anche ridere può essere un buon metodo preventivo
contro gli attacchi d’infarto. Il dottor Michael Miller, della facoltà di
medicina dell’università del Maryland, osservò, in uno dei suoi studi, che la
visione di un film divertente, per 15 minuti, produceva un effetto benefico sul
sistema cardiovascolare, pari a quello di un esercizio aerobico. La risata,
seguita alla visione del film comico, aveva prodotto, su 19 dei 20 partecipanti,
una dilatazione dei vasi sanguigni del 22% più rapida del solito. Ecco perché la
medicina ci consiglia di dedicare più tempo al sorriso. Pensate: basterebbero
almeno 15 minuti al giorno di sana risata a far sì che il nostro organismo stia
meglio ed ottenga effetti benefici, come:
• un aumento dell’ossigenazione del sangue
• ricambio della riserva d’aria nei polmoni
• stimolazione e produzione di serotonina ed endorfine
• stimolazione e produzione di anticorpi
• miglioramento del tono muscolare addominale
• i movimenti del diaframma aumentano l’irrorazione sanguigna degli organi
interni
UN ESPERIMENTO CHE FA “SORRIDERE”!
Per sconfiggere la paura dovuta allo scoppio delle bombe del 7 luglio 2005,
venne organizzata a Londra, sette settimane dopo gli attentati, una mostra in
cui si potevano ammirare trentacinquemila foto di persone sorridenti.
L’iniziativa ebbe un grande successo scatenando gli applausi e l’approvazioni di
molti londinesi. Nelle recensioni della mostra venne messo in luce che il
sorriso è il primo segno d’intelligenza dell’homo sapiens e uno dei fattori che
lo distinguono dagli animali (tranne le scimmie, le quali hanno la capacità di
sorridere). A confermare gli studi già descritti si aggiunse anche quello del
dott. David Lewis che stabilì come le emozioni prodotte in noi quando qualcuno
ci sorride e quando noi ricambiamo il sorriso, comportino cambiamenti chimici
nel cervello. Sembra, quindi, ormai certo: sorridere crea conseguenze cerebrali
che ci permettono di migliorare il ricordo di determinati eventi, ci rendono più
ottimisti, motivati, resistenti al dolore e soprattutto ci consentono di
mostrarci più positivi verso la vita. Insomma: sorridere fa bene alla salute!
Il consiglio è, quindi, allenare il proprio ottimismo e buonumore, ma con
Intelligenza Emotiva: sorridere in modo autentico e sincero! Essere ottimisti
non vuol dire pensare che andrà sempre tutto bene, ma sapere di avere
un’alternativa, scorgere possibilità dove non sembra ce ne siano: sorridere
anche quando si pensa di avere poche ragioni per farlo!
A noi non resta che augurarvi di iniziare il prima possibile!”
Fonti:
Anne Underwood, La Repubblica, lunedì 10 ottobre 2005
Ekena Dusi, Enrico Franceschini e Marco Lodoli La domenica di Repubblica, 28
agosto 2005
a cura di Arianna Vincenzi
DICEMBRE 2005
Il processo di dare un nome alle emozioni e scriverne qualcosa può aiutarci a
definire il contenuto delle emozioni stesse.
Emozioni che sembravano misteriose e incontrollabili assumono allora connotati e
limiti ben precisi: ci sembrano così più trattabili e ci spaventano meno.
Se poi, dopo averne preso coscienza, risaliamo al pensiero che le ha generate,
possiamo modificarle e sperimentarne di nuove, di più sane, benefiche e positive
per noi e le nostre relazioni.
Esercizio: IL DIARIO EMOTIVO
Puoi fotocopiare la tabella che trovi più avanti o riprodurla su un foglio di
“quadernone” e poi decidi per quanto tempo terrai il tuo diario: il mio
consiglio è per almeno un mese, la sera, a conclusione della giornata, oppure la
mattina, prima di iniziare la giornata… o in qualsiasi altro momento ti vada
bene, possibilmente compilandolo sempre nello stesso momento della giornata.
L’ideale sarebbe che tu dedicassi un po’ di tempo a questo diario tutti i
giorni… E adesso cominciamo.
1. Ripercorrendo mentalmente la giornata trascorsa, segna con un pallino o una
crocetta, nella colonna del giorno della settimana a cui si riferisce, le
emozioni che hai sperimentato.
2. Prendi in considerazione quella per te più significativa o che ti ha creato o
ti crea adesso qualche problema (ogni giorno concentrati su un’emozione diversa)
e rispondi alle seguenti domande, trascrivendo le risposte sul tuo “quadernone”:
- In relazione a quale evento hai provato quella emozione?
- In quale ambiente e con chi ti capita di sperimentare più spesso quella data
emozione?
- Gli altri si sono accorti di quello che ti stava capitando?
- Ne hai parlato con qualcuno?
- Dopo quell’emozione come ti sei sentito/a?
- Quello che hai provato è come…… Trova un’immagine, un simbolo, una
similitudine che possa rappresentare come ti sei sentito/a o quello che hai
provato. Disegna la tua emozione su di un foglio e colorarla con le tecniche di
tuo gradimento.
- Riguardo alle emozioni, noti in te atteggiamenti o percezioni che vorresti
modificare?
- Osserva le reazioni degli altri alle tue emozioni, soprattutto quelle dei tuoi
figli, dei tuoi genitori, dei tuoi amici, dei tuoi colleghi di lavoro, dei tuoi
alunni e prendine nota.
- Tendi a esprimere l’emozione che provi con comportamenti di un’altra emozione:
ti arrabbi e invece, ad esempio, di urlare ti metti a piangere, oppure sei
triste e invece di piangere, esci sbattendo la porta, ecc…?
- Stai in ascolto delle tue emozioni e in genere ti chiedi cosa stai provando,
dicendoti la verità?
- Reprimi abitualmente le tue emozioni?
- Quali pensieri hanno creato quell’emozione?
- cosa hai dovuto pensare su di te per potere vivere quell’emozione?
- cosa hai dovuto pensare sull’altro per potere vivere quell’emozione?
- Quale pensiero diverso puoi pensare, in modo da provare un’emozione diversa
che ti fa sentire, stare e vivere bene con te stesso e con gli altri?
- Il quadro che ne viene fuori ti fa venire in mente tua madre o tuo padre? Chi
di loro avrebbe potuto avere un diario simile al tuo?
- Le tue emozioni sono “le tue” o sono mutuate da tuo padre o da tua madre?
EMOZIONE |
Lunedì |
Martedì |
Mercoledì |
Giovedì |
Venerdì |
Sabato |
Domenica |
|
Soddisfazione |
||||||||
Contentezza |
||||||||
Allegria |
||||||||
Felicità |
||||||||
Euforia |
||||||||
Fastidio |
||||||||
Irritazione |
||||||||
Nervosismo |
||||||||
Rabbia |
||||||||
Furia |
||||||||
Preoccupazione |
||||||||
Agitazione |
||||||||
Ansia |
||||||||
Paura |
||||||||
Terrore |
||||||||
Scontentezza |
||||||||
Dispiacere |
||||||||
Tristezza |
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Infelicità |
||||||||
Disperazione |
||||||||
Sorpresa |
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Disgusto |
||||||||
Timidezza |
||||||||
Incertezza |
||||||||
Orgoglio positivo |
||||||||
Gratitudine |
||||||||
Stress |
||||||||
Vergogna |
||||||||
Rimpianto |
||||||||
Invidia |
||||||||
Senso di colpa |
||||||||
Rancore |
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……… |
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………… |
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………………. |
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Tabella 2 – IL DIARIO EMOTIVO – © Carmela Lo Presti 2005, da: Jonh Gottman – INTELLIGENZA EMOTIVA PER UN FIGLIO – modificato e arricchito del Questionario della pagina precedente.
Tabella 2 – IL DIARIO EMOTIVO – © Carmela Lo Presti 2005, da: Jonh Gottman –
INTELLIGENZA EMOTIVA PER UN FIGLIO – modificato e arricchito del Questionario
della pagina precedente.
Con questo esercizio diventerai consapevole
del rapporto che hai con il tuo mondo emotivo;
delle emozioni che prevalgono in questo momento nella tua vita;
delle emozioni che vivi raramente;
dei pensieri che fanno scattare certe emozioni e certi comportamenti;
delle persone con le quali e degli ambienti nei quali più frequentemente vivi
determinate emozioni;
del genitore che hai scelto come modello emotivo privilegiato.”
NOVEMBRE 2005
“Come Educatori ci capita continuamente di essere nella posizione di chi osserva
nei Bambini comportamenti che “non ci piacciono”, socialmente inadeguati o che,
semplicemente, hanno un effetto indesiderato su di noi. Ebbene, poiché per me la
Presupposizione che:
non c’è fallimento, ma solo feedback,
non è solo vera, ma anche fondamentale, voglio esporti una Struttura della PNL
che ti permetterà di Comunicare in modo efficace e sincero quello che, secondo
te, non va bene del Comportamento di un’altra persona.
Ma, prima di tutto, ti ricordo che:
la Persona non è il suo comportamento;
ogni comportamento ha un’Intenzione Positiva.
Ogni volta che noti in un’altra Persona un Comportamento che può essere
migliorato, pensa sempre a quanto può essere utile comunicarglielo dandole
Fiducia e facendo in modo che possa accogliere e comprendere il tuo feedback
utilizzando la Tecnica descritta in questo paragrafo. Consideralo un dono per la
sua Crescita Personale: infatti, quello che le proponi è una SFIDA con se stesso
e, quindi, un’occasione di Crescita. Ma mi raccomando, ricorda sempre che la
responsabilità del SUO comportamento è la SUA e quindi è libero di scegliere se
cambiarlo oppure no!
LA TECNICA DE “IL PANINO COMUNICATIVO”
Questa struttura per dare un Feed-back è molto semplice, ma profondamente
potente. Si articola in 3 Fasi:
I Fase: Apertura Positiva
Accogli la Persona evidenziando ciò che di Positivo hai notato in Lui/Lei o in
qualcosa che ha fatto.
Es: Ho notato che ieri hai messo a posto la tua scrivania, sei stato molto
bravo! Adesso la tua scrivania è davvero molto in ordine! Sapevo che sai
riordinare molto bene la tua stanza.
Ricorda:
dì sempre cose vere, concrete e attinenti alla Sfida che vuoi lanciare, perché i
complimenti vaghi e fini a se stessi non servono a nulla!
E’ fondamentale che la Persona che abbiamo davanti abbia Fiducia in noi, per
questo dobbiamo Riconoscerle ciò che di buono ha fatto e accoglierla esattamente
per quella che è!
Ricordati che quando ricevi complimenti SINCERI, sei più aperto ad ascoltare e
quando arriva la Fase II, cioè la Sfida, ti trova disponibile all’ascolto!
II Fase: la SFIDA
Proponi alla Persona il Comportamento che secondo te lei potrebbe migliorare, in
termini di Sfida
Es: La Sfida adesso, per te, potrebbe essere mettere la Cartella al suo posto
appena torni da Scuola.
III Fase: Conclusione Positiva
Racconta quanto sarà migliore la sua vita, il vostro rapporto (o tutto quanto ti
viene in mente) quando avrà accolto la tua Sfida.
Es: Sono certo che nel momento in cui sceglierai di mettere al suo posto la
Cartella, la tua stanza avrà un aspetto fantastico e tu potrai studiare ancora
meglio in uno spazio ordinato, quanto lo è la tua scrivania adesso.
Questa struttura si Chiama PANINO COMUNICATIVO (Feedback Sandwich, in Inglese),
perché, come puoi vedere la Sfida è tra due Parti Positive, come il Prosciutto
in un Panino!”
Carmela Lo Presti – Barbara Quadernucci – L’ALLENAMENTO EMOTIVO PER I NOSTRI BAMBINI, AL NIDO, A SCUOLA, A CASA DALL'ETÀ DI 2 ANNI in CD-rom – Vol.1 – Edizioni Era Nuova - 2005
Barbara Quadernucci
di Umberto Tenuta
Direttore della RIVISTA DIGITALE DELLA DIDATTICA e già Ispettore Tecnico del
MIUR http://www.rivistadidattica.com/
“Scrive Tommaso D'Aquino che <<Ogni essere che agisce, agisce per un fine. Ora,
per ogni essere, il fine è il bene che si desidera e si ama. Da ciò è manifesto
che ogni essere che agisce, qualunque sia questo essere, compie ogni sua azione,
qualunque sia questa sua azione, mosso da qualche amore>>
All’inizio di ogni processo conoscitivo e apprenditivo, così come di ogni azione
umana, sta un amore, un desiderio, una motivazione: la filosofia è amore del
sapere e la parola studente deriva dal latino studium che significa a amore,
passione, piacere dello studio. Lo studente, da studium, è colui che ama sapere
e quindi ha lo stesso significato della parola filosofia (filo, amore, sofia,
sapere).
Coerentemente a tale concezione dello studente, nei Programmi didattici nel 1955
per la scuola primaria si affermava che <<scopo essenziale della scuola non è
tanto quello di impartire un complesso determinato di nozioni, quanto di
comunicare al fanciullo la gioia e il gusto di imparare e di fare da sé, perché
ne conservi l'abito oltre i confini della scuola, per tutta la vita>>.
Ma nessuno ha dato importanza ad una affermazione così significativa e la scuola
ha continuato ad essere luogo della pena dell’apprendere, della condanna ad
imparare, della costrizione ad acquisire i saperi che agli alunni non
interessano.
Imparare a leggere ed a scrivere: quale scuola ne ha mai fatto sentire
l'utilità, malgrado la lezione dell'Emilio del Rousseau che un bel giorno,
scoperta l'utilità della lettura, chiede con insistenza al suo maestro Giacomo
di insegnargli a leggere ed a scrivere?
Imparare la tecnica delle quattro operazioni aritmetiche a sei anni, quando i
conti della spesa li fa la mamma!
Imparare i moti di rotazione e di rivoluzione della terra, quando l'attenzione è
rivolta ai giochi e ai videogiochi!
La scuola è una pena o, quanto meno, una noia.
Occorre andarci a scuola, solo per far contenti mamma e papà.
Certo, anche questo è un amore, un amore indiretto, che volentieri si
scambierebbe con un bel bacione sulle guance materne!
Letizia Moratti, a Rimini, ha dovuto raccomandare di rendere meno noiosa la
scuola.
Meno noiosa! Si tratta di indorare la pillola, che però rimane ancora amara!
La noia, la pena, la condanna dello studio!
Solo la scuola poteva compiere questo miracolo: cambiare la gioia dell'imparare,
l’amore del sapere, la passione del conoscere, che i bambini portano con sé sin
dalla nascita[1], con la pena, la costrizione, se non con la punizione.
Evidentemente, c'è una ragione perché la scuola continua a configurarsi come
luogo della pena dell'imparare.
E la ragione è che la scuola è nata con la Rivoluzione francese, ispirata
dall'Illuminismo cartesiano che privilegiava la regione e questa separava dal
corpo, luogo delle passioni. Non a caso Pascal affermava che il cuore ha le sue
ragioni che la ragione non può comprendere.
Certamente, la ghiandola pineale[2] non ha funzionato e non funziona,
soprattutto nei bambini.
Eppure, sono proprio i bambini assetati di sapere, nati con la fame
dell’apprendere, con la innata curiosità dell'imparare.
I bambini apprendono già nel grembo materno con la loro attività esploratoria.
Ma apprendono soprattutto appena nati, toccando tutto colle mani, portando tutto
alla bocca, organo sovrano dell'imparare, del conoscere, dell'apprendere come
sono fatte le cose del mondo.
Nei primi tre anni di vita, i bambini apprendono un patrimonio immenso di
conoscenze e soprattutto acquisiscono la quasi totalità delle competenze che li
rendono essere umani: apprendono a prendere gli oggetti ed a manipolarli;
apprendono a camminare, a correre, a saltare, a salire ed a scendere le scale;
apprendono a comunicare coi più diversi linguaggi, compreso quello verbale, se è
vero, come è vero, che a tre anni un bambino ormai possiede un vasto vocabolario
e soprattutto la grammatica della lingua.
Nei primi tre anni di vita i bambini apprendono l'aritmetica del contare e la
geometria dello spazio bidimensionale e tridimensionale dell’andare avanti, a
destra, a sinistra, sopra, sotto; apprendono la geografia del mare, dei fiumi,
dei laghi, dei monti, delle pianure; apprendono la storia del loro mattino, del
loro ieri, del loro “c’era una volta”! Apprendono la biologia del loro micio,
del loro canarino, del loro cagnolino...! Apprendono la botanica dell'erba che
calpestano, degli alberi che portano i frutti, dei fiori che raccolgono per
regalarli alla mamma!
Apprendono a rompere le bambole ed ogni oggetto che capita sotto le loro mani
per vedere come sono fatti...
Scienziati, filosofi, amanti del sapere: studenti!
Eppure, quando vanno a scuola tutto finisce, tutto scompare, tutto cambia.
Non ci sono più i giochi, se non quelli ordinati dalla maestra!
Non più le manipolazioni, non più i movimenti, non più l'universo che si squadra
davanti al loro sguardo rivolto ai panorami sconfinati delle terre, dei monti,
dei mari, dei cieli azzurri e dei cieli stellati.
Scrive lo psicologo americano M. Resnik: <<Sappiamo che un bimbo impara
toccando, mettendo in bocca, esplorando. Ma improvvisamente quando un bambino va
scuola, l'imparare diventa uno stare seduti ad ascoltare>>[3].
Il corpo scompare, la cartesiana ghiandola pineale non funziona.
Resta la ragione e con la ragione scompaiono le passioni, i sentimenti, le
emozioni.
Nulla desta più meraviglia, stupore, interesse, curiosità.
Imparare è un obbligo, non è più una gioia.
La scuola è una condanna, non più un ambiente per soddisfare le proprie
curiosità, per vivere assieme ai compagni la meravigliosa avventura della
scoperta del mondo.
Il mondo non interessa più, non desta più meraviglia, stupore, attenzione,
interesse, sentimenti, amori.
Chi si è assunta questa responsabilità di distruggere la gioia dell'imparare?
I docenti hanno sentito sempre come loro impegno precipuo, se non esclusivo, lo
svolgimento dei programmi, la presentazione e la spiegazione dei contenuti
disciplinari, che oggi sono diventati gli obiettivi specifici di apprendimento
(OSA) delle singole discipline.
È, questa¸ una tradizione che, come tutte le tradizioni, incontra difficoltà ad
essere superata, per porre al centro dell'attività educativa e didattica la
piena formazione dei singoli alunni, attraverso l'utilizzo dei contenuti
disciplinari.
Si tratta, in effetti, di operare una rivoluzione di centottanta gradi: al
centro non più i programmi ma la piena formazione degli alunni, degli alunni che
apprendono e si formano[4].
I programmi, oggi Indicazioni nazionali, non sono più il fine ma il mezzo, lo
strumento, attraverso il quale si attua la piena formazione dei singoli alunni,
intesa come formazione integrale, originale e massimale della loro
personalità[5].
Non tanto istruzione, quanto formazione ovvero, se si vuole, istruzione
formativa.
Formazione significa acquisizione, non di sole conoscenze, ma anche di capacità
e soprattutto di atteggiamenti[6], di motivazioni, di interessi, di amori:
l'amore della matematica, l’amore della storia, l’amore della geografia, l'amore
della botanica, l’amore della lettura, l'amore della grammatica...
La scuola, consolidato luogo della pena dell'imparare, può diventare il luogo
della gioia dell’apprendere?
La scuola può diventare un ambiente di apprendimento, un campo di esperienze
matematiche, linguistiche, storiche, geografiche...?
Certamente sì!
A condizione che si superi la concezione ancora presente perfino nelle nuove
Indicazioni nazionali che limitano gli apprendimenti alle sole conoscenze ed
alle capacità, dimenticando che senza amori non si va da nessuna parte: tutto
finisce nel momento in cui le conoscenze e le capacità sono state acquisite.
In un mondo in rapida trasformazione, ciò che importa è l'apprendere per tutto
il corso della vita (Lifelong learning) e per continuare ad apprendere oltre i
confini della scuola, per tutto il corso della vita, occorre che la scuola
coltivi, incrementi, privilegi la maturazione degli atteggiamenti: occorre che
la scuola privilegi la formazione dell'intelligenza emotiva, che nella scuola si
esprime attraverso il desiderio di imparare, le curiosità matematiche, storiche,
scientifiche e, in una parola, attraverso l’amore dell'imparare.
Agli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle conoscenze e alla
capacità occorre aggiungere gli obiettivi specifici di apprendimento relativi
agli atteggiamenti, alle motivazioni, ai sentimenti, agli affetti, agli amori,
alle emozioni.
Occorre che la scuola privilegi, ponendolo come sua finalità primaria, l’amore
dell'apprendere.
La scuola va vista, non più come il luogo della pena dell’apprendere, ma come il
contesto sociale in cui gli alunni, tutti gli alunni vivono l’amore
dell’apprendere, la gioia dell'imparare, per crescere, per realizzarsi, per
diventare uomini: alunno, da alere, alimentarsi, e quindi crescere (una volta
cresciuti, si è diventati adulti).
Solo così l’apprendere non costituisce una pena, una sofferenza, una condanna e
soprattutto non finisce al termine dei corsi di studio, ma continua per tutto il
corso della vita e assicura una formazione che non è una formazione limitata,
ristretta ai singoli saperi disciplinari, ma una formazione integrale che
comprende tutte le forme di intelligenze[7], in primis l’intelligenza
emotiva[8].
La scuola non può continuare a funzionare come scuola della sola istruzione,
secondo la sua impostazione originaria, nata dall'Illuminismo cartesiano che,
privilegiando i saperi, la mera razionalità, sottovaluta il corpo, la formazione
motoria, la formazione emotivo-affettiva, che oggi costituisce la finalità
primaria della piena formazione della persona umana.
La scuola è nata come scuola del sapere, e stenta a divenire la scuola dei
saperi: del sapere (conoscenze, nozioni, “retorica delle conclusioni”[9]), del
saper fare (capacità, abilità, competenze) e del saper essere (motivazioni,
interessi, atteggiamenti) [10].
Occorre compiere anche qui una rivoluzione, un cambiamento radicale, la vera
riforma della scuola, che è quella di garantire a tutti i singoli alunni il
successo formativo ossia la piena formazione della loro personalità, intesa come
formazione integrale, originale e massimale. Al riguardo, è opportuno
sottolineare che la formazione integrale implica la formazione di tutte le
dimensioni della personalità, in primis della formazione emotivo-affettiva
(intelligenza emotiva), sia perché l’amore dell’apprendere deve costituire la
finalità educativa primaria da perseguire ai fini dell’equilibrio complessivo
della personalità, sia perché senza l’amore dell’apprendere non tutti gli alunni
apprendono nella scuola e fuori della scuola per tutto il corso della loro vita.
Occorre che gli alunni apprendano <<la gioia e il gusto di imparare e di fare da
sè, perché ne conservi l'abito oltre i confini della scuola, per tutta la vita>>
e questa gioia può essere appresa solo se l’attività educativa e didattica
risulta sempre fondata su quella che Bruner chiama la volontà di apprendere[11].
La scuola non può limitarsi a far immagazzinare conoscenze, e non può limitarsi
nemmeno a far acquisire capacità, ma deve impegnarsi anche a far maturare
atteggiamenti, facendosi carico soprattutto della formazione dell’intelligenza
emotiva[12].
Note
[1] In merito cfr. HODKIN R.A., La curiosità innata - Nuove prospettive
dell'educazione, Armando, Roma, 1978.
[2] Secondo Cartesio la fantomatica ghiandola pineale avrebbe dovuto unire la
ragione ed il corpo.
[3] RESNIK M., Da COMPUTER valley, La Repubblica, 11 dicembre 1997, ma anche in
DIDATTICA@EDSCUOLA.COM , nel sito: Http://www.edscuola.com/dida.html, rubrica
ANTOLOGIA E RECENSIONI.
[4] TENUTA U., La flessibilità della scuola e la centralità degli alunni, Anicia,
Roma, 2002.
[5] In merito cfr.: TENUTA, Il Piano dell’offerta formativa ? Moduli e unità
didattiche – La programmazione nella scuola dell’autonomia, Anicia, Roma, 2001.
[6] In merito cfr.: Cresson, E., , Insegnare ad apprendere. Verso la società
conoscitiva, Libro bianco su istruzione e formazione, Lussemburgo, Commissione
Europea. 1995; CAMBI F. (a cura di), Nel conflitto delle emozioni – Prospettive
pedagogiche, Armando Editore, Roma, 1999; TENUTA U., I contenuti essenziali per
la formazione di base: homo patiens, habilis, sapiens, in Rivista
dell’istruzione, Maggioli, Rimini, 1998, N. 5; TENUTA U., Verificare le
conoscenze essenziali, ma soprattutto le capacità ed anche gli atteggiamenti, in
Rivista dell’istruzione, Maggioli, Rimini, 2002, n. 4; TENUTA U., Atteggiamenti:
non solo conoscenze, non solo capacità, Il Dirigente scolastico, ScuolaSNALS,
Roma, gennaio 2002; TENUTA U., Conoscenze Capacità Atteggiamenti; TENUTA U.,
Obiettivi Formativi da Raggiungere; TENUTA U., Obiettivi Formativi e Competenze;
TENUTA U., Obiettivi Specifici di Apprendimento; TENUTA U., Obiettivi: come
districarsi?; TENUTA U. , Atteggiamenti Capacità Conoscenze, nel sito
http://www.edscuola.it/archivio/didattica/index.html; TENUTA U., Atteggiamenti,
capacità e conoscenze , in RIVISTA DIGITALE DELLA DIDATTICA:
http://www.rivistadidattica.com/
[7] In merito cfr.: GARDNER H, Educare al comprendere, Feltrinelli, Milano,
1994; GARDNER H, Intelligenze multiple, Anabasi, Milano, 1993; GARDNER H.,
Formae mentis. Saggio sulla pluralità delle intelligenze, Feltrinelli, Milano,
1987.
[8] In merito cfr. GOLEMAN D., Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano, 1997;
GOLEMAN D, Lavorare con Intelligenza Emotiva, Rizzoli, Milano, 1999.
[9] SCHWAB J.J., BRANDWEIN P.F., L’insegnamento della scienza, Armando, Roma,
1965
[10] In merito cfr.: TENUTA U. , Atteggiamenti Capacità Conoscenze, nel sito
http://www.edscuola.it/archivio/didattica/index.html; TENUTA U., Atteggiamenti,
capacità e conoscenze , in RIVISTA DIGITALE DELLA DIDATTICA:
http://www.rivistadidattica.com/
[11] BRUNER J. S., Verso una teoria dell’istruzione, Armando, Roma, 1967.
[12] In merito cfr: INTELLIGENZA EMOTIVA (www.intelligenzaemotiva.it)
GIUGNO 2005
MILANO - A immaginarlo, nelle viscere, viene da pensare a sembianze mostruose.
Stile Alien E invece ciò che la scienza ha battezzato come «secondo cervello»
vive sì nel ventre di ciascuno di noi (come Alien, appunto) ma è una sorta di
chiave che regola stress, ansia e tensione. Il nostro secondo cervello, quindi,
vive nella pancia e svolge «importanti funzioni che si riflettono sull'intero
organismo».
Ne è convinto Michael D. Gershon, esperto di anatomia e biologia cellulare della
Columbia University, che ha presentato a Milano la «teoria dei due cervelli».
«Il nostro secondo cervello vive nella pancia» (Internet) BASI SCIENTIFICHE -
«La teoria dei due cervelli poggia su solide basi scientifiche -spiega l'esperto
americano Basti pensare che l'intestino, pur avendo solo un decimo dei neuroni
del cervello, lavora in modo autonomo, aiuta a fissare i
ricordi legati alle emozioni e ha un ruolo fondamentale nel segnalare gioia e
dolore. Insomma, 1’intestino è la sede di un secondo cervello vero e proprio. E
non a caso le cellule dell'intestino - aggiunge Gershon - producono il 95% della
serotonina, il neurotrasmettitore del benessere» LA RISCOSSA - «A lungo
l'intestino è stato considerato una struttura periferica, deputata a svolgere
funzioni marginali. Ma la scoperta di attività che implicano un coordinamento a
livello emozionale e immunologico ha rivoluzionato questo pensiero - spiega
Umberto Solimene dell’Università di Milano, direttore del centro collaboratore
Oms per la medicina tradizionale - Nella pancia troviamo infatti tessuto
neuronale autonomo». EMOZIONI - L'intestino rilascia serotonina in seguito a
stimoli esterni, come immissione di cibo, ma anche suoni o colori. E a input
interni: emozioni e abitudini. «Insomma questo neurotrasmettitore è come un
direttore d'orchestra, che manovra le leve del movimento intestinale», dice il
ricercatore americano, autore di un best seller su «The Second Brain», il
secondo cervello. Studi su cavie geneticamente modificate, ma anche in vitro,
«hanno dimostrato l'esistenza di un asse pancia-testa». Per Gershon è la prima a
dominare, almeno in certi campi. «La quantità di messaggi che il cervello
addominale invia a quello centrale è pari al 90% dello scambio totale», sostiene
il ricercatore. Per la maggior parte si tratta di messaggi inconsci, che
percepiamo solo quando diventano segnali di allarme e scatenano reazioni di
malessere.
ESEMPI - Per chiarire il ruolo del cervello intestinale Gershon spiega: «Quanti
hanno sperimentato la sensazione delle "farfalle nello stomaco" durante una
conversazione stressante o un esame?». E' solo un esempio delle emozioni «della
pancia» come nausea paura ma anche dolore e angoscia. Insomma, nella
pancia c'è un cervello che «assimila e digerisce non solo il cibo, ma anche
informazione ed emozioni che arrivano dall'esterno».
Fonte: Corriere della Sera
Articolo Stampato dalle News di my-Cily.it (www.my-city.it) il 22/04/2005
APRILE 2005
I nostri studi dimostrano che, per poter sentire quel che i figli sentono, i
genitori devono essere consapevoli in primo luogo delle loro stesse emozioni. Ma
cosa significa diventare “consapevole delle emozioni”?...
…La consapevolezza emotiva significa soltanto che riconoscete il fatto di
“provare” un’emozione, che sapete identificare i vostri sentimenti…
… Per molti genitori, riconoscere nelle emozioni negative dei figli un’occasione per stabilire un legame, per insegnare qualcosa, è un vero sollievo, una liberazione, una gioia. … un bambino ha bisogno dei genitori specialmente quando è triste o arrabbiato o spaventato.
… In questo contesto, ascoltare significa molto più che una semplice raccolta
dei dati che ci giungono attraverso le orecchie. Gli ascoltatori empatici
utilizzano gli occhi per cogliere le prove fisiche dell’emozione del bambini.
Usano l’immaginazione per vedere la situazione nella prospettiva del bambino.
Usano parole per riflettere , in modo rilassato e non critico su quel che hanno
ascoltato e per aiutare i bambini a dare un nome alle loro emozioni. Ma, cosa
più importante di tutte, usano i loro cuori per sentire qual che i loro figli
sentono.
FASE 4: AIUTARE IL BAMBINO A TRROVARE LE PAROLE PER DEFINIRE LE EMOZIONI CHE
PROVA
… Studi specifici indicano che l’atto di dare un nome alle emozioni ha di per sé
un effetto rasserenante sul sistema nervoso, e aiuta i ragazzi a ricuperare più
in fretta dalle situazioni di turbamento.
FASE 5: PORRE DEI LIMITI, MENTRE SI AIUTA IL BAMBINO A RISOLVERE IL PROBLEMA
Una volta che avrete passato del tempo ad ascoltare vostro figlio e ad aiutarlo
a dare un nome e comprendere le sue emozioni, probabilmente, vi troverete
naturalmente portati a intraprendere un processo di “soluzione del problema”.
Questo processo può avere anch’esso cinque fasi: 1) porre i limiti; 2)
identificare gli obiettivi; 3) pensare alle possibili soluzioni; 4) valutare le
soluzioni proposte alla luce dei valori familiari; 5) aiutare il bambino a
scegliere la soluzione.
… Potete guidare vostro figlio attraverso queste fasi, ma non sorprendetevi se,
con l’esperienza, sarà proprio lui a prendere l’iniziativa e a cominciare a
risolvere problemi complessi per conto suo.”
J. Gottman – J.Declaire - INTELLIGENZA EMOTIVA PER UN FIGLIO Una guida per i genitori - BUR
Anonimo citato in Andrea Canevaro e Dario Ianes – DALLA PARTE DELL’EDUCAZIONE – Erikson
Ma le nostre madri sono così per costituzione o frequentano dei corsi appostiti
per poterci crescere e farci diventare gli adulti di domani?
Ecco un’analisi di come il loro aiuto ci permette di affrontare la vita e capire
il mondo che ci circonda.
La mamma è quella che ti insegna a rispettare il lavoro degli altri:
”Se dovete ammazzarvi, fatelo fuori di qui, che ho appena pulito!”
La mamma è quella che ti insegna a pregare:
”Prega Dio che non ti sia caduto sul Tappeto!”
La mamma è quella che ti insegna a rispettare le tempistiche di lavoro:
”Se non pulisci la tua camera entro domenica, ti faccio pulire l’intera casa per
un mese!”
La mamma è quella che ti insegna la logica:
”Perché te lo dico io, ecco perché!”
La mamma è quella che ti insegna ad essere previdente:
”Assicurati di avere le mutande pulite, non sia mai che fai un incidente e ti
devono visitare!”
La mamma è quella che ti insegna l’ironia:
”Prova a ridere e ti faccio piangere io!”
La mamma è quella che ti insegna la tecnica dell’osmosi:
”Chiudi la bocca e mangia!”
La mamma è quella che ti insegna il contorsionismo:
”Guarda che sei sporco dietro, sul collo!”
La mamma è quella che ti insegna la resistenza:
”Non ti alzi finché non hai finito quello che hai nel piatto!”
La mamma è quella che ti insegna il ciclo della Natura:
”Come ti ho fatto, ti disfo!”
La mamma è quella che ti insegna il comportamento da non tenere:
”Smettila di comportarti come tuo padre!”
La mamma è quella che ti insegna cos’è l’invidia:
”Ci sono milioni di poveri bambini che non hanno genitori meravigliosi come
noi!”
Fin dall’inizio, la psicologia si è concentrata verso ciò che debilita la mente:
ansia, depressione, neurosi e ossessioni. L’obiettivo dei suoi praticanti è
sempre stato quello di condurre i pazienti da uno stato mentale negativo ad uno
normale, neutro; oppure, come spiega lo psicologo Martin Seligman
dell’Università della Pennsylvania: “Da meno cinque a zero”. Ora la psicologia
ha iniziato a studiare ciò che rende la mente felice, notando che un’attitudine
mentale positiva può avere un impatto benefico su molte malattie o addirittura
scongiurarle.
“Ho scoperto che la mia professione funzionava solo a metà”, spiega Seligman,
passato presidente dell’Associazione Americana di Psicologia (APA). “Non è
sufficiente eliminare condizioni debilitanti ed arrivare a zero. Abbiamo bisogno
di chiederci “Quali sono le condizioni che permettono la fioritura mentale di un
essere umano? Come andiamo da zero a più cinque?”
Ogni nuovo presidente, com’era Seligman nel 1988, doveva scegliere un tema di
ricerca da esplorare durante l’anno di presidenza. Seligman pensò in grande.
Voleva persuadere un sostanzioso numero di colleghi ad esplorare la regione a
nord dello zero, per scoprire cosa fa sentire le persone soddisfatte della
propria vita e significativamente felici.
La salute mentale, ragionò, dovrebbe essere più che una mancanza di malattie
mentali. La mente e lo spirito integro di una persona dovrebbero essere simili
ad un corpo fisico vibrante e muscolare.
Da quegli anni, un certo numero di ricercatori è quindi uscito dall’ombroso
reame della malattia mentale, nella terra soleggiata della mente positiva e
sicura di se. Gli studi del dottor Seligman si sono concentrati sull’ottimismo,
una caratteristica associata ad una buona salute fisica, a minori depressioni e
malattie mentali in genere, ad una vita più lunga ed ovviamente, ad una maggiore
felicità nella vita.
Che cosa ha scoperto quindi la scienza riguardo alla felicità? Più di quanto ci
si possa immaginare – inclusi aspetti sorprendenti su ciò che non ci soddisfa.
Prendi per esempio il denaro e tutte quelle deliziose cose che i soldi possono
comprare. Numerose ricerche mostrano che, soddisfatti i bisogni basilari,
ulteriori guadagni fanno poco per aumentare il nostro senso di soddisfazione
nella vita.
Una buon’educazione? Spiacenti, mamma e papà. Né l’educazione né un alto
quoziente d’intelligenza prepara la strada alla felicità.
Giovinezza? Neanche. In realtà, le persone anziane sono consistentemente più
soddisfatte della loro vita di quanto lo siano i giovani. Per di più sono meno
preda della depressione: uno studio recente del CDC (Center for Desease Control)
di Atlanta ha rilevato che i giovani tra i 20 e i 24 anni sono tristi per una
media di 3,4 giorni al mese, mentre gli anziani tra i 65 e i 74 anni lo sono
solo in media 2,3 giorni.
Il matrimonio? La figura si complica: gli sposati sono più felici dei single, ma
ciò potrebbe essere spiegato dal fatto che le persone erano già più felici.
Guardare la TV? Per niente. Persone che guardano la televisione più di tre ore
al giorno – specialmente le soap opera – sono meno felici di quelle che passano
meno tempo di fronte allo schermo.
Sul lato positivo, avere qualche forma di fede religiosa sembra sollevare
genuinamente lo spirito. Avere amicizie? Un sì deciso. Una ricerca su studenti
con forti legami verso amici e parenti ha mostrato anche il minor livello di
depressione e i livelli più alti di felicità.
Ruut Veenhoven, professore di studi sulla felicità all’università Erasmus di
Rotterdam, Olanda, è il webmaster di www2.eur.nl/fsw/research/happiness, il
maggiore compendio internet delle ricerche sulla felicità condotte nel mondo.
Dopo aver lavorato per 25 anni in questo campo, Veenhoven è giunto alla
conclusione che un modo di definire la felicità sia “quanto ti piaccia la vita
che stai vivendo. La gente può vivere in paradiso ed essere infelice perché fa
un gran caos della propria vita”.
Ci sono numerose maniere per aumentare il livello di felicità personale.
All’Università della California, la psicologa Sonja Lyubomirsky usa il “giornale
della gratitudine”, un diario in cui i soggetti elencano aspetti della propria
esistenza verso i quali sono grati. La studiosa ha scoperto che, facendo una
lista simile una volta alla settimana, aumenta in modo significativo in un
periodo di sei settimane il livello di soddisfazione generale; mentre un gruppo
di controllo che non ha usato il diario non ha mostrato nessun cambiamento.
Gli esercizi di gratitudine possono più che migliorare il proprio umore. Robert
Emmons, un altro psicologo della stessa Università ha scoperto che il metodo
migliora la salute fisica, aumenta il livello d’energia e, nei pazienti affetti
da malattie neuromuscolari, abbassa il dolore e la fatica.
Un altro metodo per aumentare il livello di felicità è praticare atti
d’altruismo o di gentilezza. Visitare una casa per anziani, aiutare un bambino
nei compiti di casa, tagliare l’erba ad un vicino, scrivere una lettera ad un
parente. Fare cinque atti di gentilezza alla settimana, specialmente se fatti
tutti lo stesso giorno, aumentò in modo considerevole il livello di felicità ai
soggetti studiati dalla Lyubormirsky.
Il modo migliore per aumentare la propria gioia, ha dichiarato lo psicologo
Seligman, è fare una “visita di gratitudine”. Ciò significa scrivere una lettera
di ringraziamento ad un insegnante o un parente o un sacerdote – ognuno verso il
quale hai un debito di gratitudine – e quindi visitare quella persona e leggerle
la tua lettera. “L’aspetto straordinario – dice Seligman – è che le persone che
fanno questo anche una sola volta sono significativamente più felici e meno
depressi anche un mese dopo”. Il valore di connettersi con altre persone sembra
essere la scoperta più fondamentale della scienza della felicità.
La biologia della Gioia
Richard Davidson, professore di psicologia e psichiatria all’Università del
Wisconsin, ha scoperto cinque anni fa che la meditazione profonda causa una
marcata attività elettrica in certe parti del cervello. Il significato della
scoperta, riportata in una ricerca pubblicata nell’autunno del 2004 nei
Proceedings of the National Academy of Science, sta nel fatto che ora la
felicità non può più essere descritta come una vaga sensazione, ma è uno stato
fisico del cervello, una condizione che può essere indotta deliberatamente.
Questo non è tutto. Come i ricercatori iniziano a comprendere le caratteristiche
fisiche di un cervello felice, cominciano anche a comprendere che esso hanno una
potente influenza sul resto del corpo. Ad esempio, persone classificate nei test
psicologici come appartenenti a livelli elevati di felicità, producono circa 50%
di antibodi in più della media in responso ad un vaccino antinfluenzale.
“l’aumento – dice Davidson – è sostanziale”. Altri ricercatori hanno scoperto
che la felicità o stati mentali simili, come speranza, ottimismo e contentezza,
sembrano ridurre il rischio o limitare la severità di malattie cardiovascolari e
polmonari, il diabete, l’ipertensione, i raffreddori e le infezioni delle vie
respiratorie. Secondo uno studio olandese su persone anziane durato nove anni,
stati mentali positivi hanno diminuito il rischio di morte negli individui del
50%.
Ha senso che ci sia un collegamento tra l’attitudine mentale e lo stato di
salute. I medici sanno da tempo che la depressione clinica – l’estremo opposto
della felicità – può peggiorare le malattie di cuore, il diabete ed una lunga
lista di altre malattie. Ma la neurochimica della depressione è conosciuta molto
meglio di quella della felicità, perché la prima è stata studiata più
intensamente e più a lungo della seconda. Fino a circa un decennio fa, dice il
dottor Keltner, psicologo all’Università della California, “il 90% degli studi
sulle emozioni erano focalizzati sull’aspetto negativo. Così ora abbiamo tutte
quelle domande interessanti sugli stati positivi della mente”.
Un numero crescente di ricercatori che esplora la fisiologia e la neurologia
della felicità comincia a rispondere a quelle domande. Forse la più fondamentale
è cosa sia la felicità in un senso clinico.
La parola felicità, osserva Davidson “è un’area che include una costellazione di
stati positivi emotivi. E’ uno stato di benessere dove gl’individui tipicamente
non sono motivati a cambiare il loro stato. Sono motivati a preservarlo. E’
associato ad un’attiva accettazione del mondo, ma le sue precise caratteristiche
e confini devono ancora essere definiti dalla ricerca scientifica”.
Ma le persone possono dire al ricercatore quando si sentono felici, e due
tecnologie che producono la mappatura del cervello – fMRI, che monitora i flussi
di sangue nel cervello e l’elettroencefalogramma, che misura l’attività
elettrica dei circuiti neuronali – indicano con insistenza che la sede della
felicità è nella corteccia prefrontale sinistra.
Felicità e salute
Come i genitori sanno istintivamente, certi bambini sembrano essere nati felici.
Ma i neuroscienziati hanno anche imparato che il cervello è altamente
malleabile. Sembra riformattarsi a seconda dell’esperienza vissuta, specialmente
fino alla pubertà. Si potrebbe ingenuamente ipotizzare che le esperienze
negative possano distruggere una personalità felice. Effettivamente, se sono
estreme e frequenti, ciò è possibile. Ma Davidson ha notato che una piccola o
moderata quantità di esperienze negative è invece positiva (in studi sugli
animali, ha paragonato gruppi che avevano subito stress di entità moderata in
giovane età ad altri che ne erano stati immuni e ha osservato che i primi si
riprendevano meglio dalle situazioni difficili, una volta adulti). Secondo
Davidson, il motivo è che con gli eventi dolorosi ci alleniamo a respingere le
emozioni sgradevoli: è come un esercizio per rafforzare i “muscoli della
felicità” o un vaccino contro la malinconia.
Capire la neurofisiologia dello stare bene è una cosa; un'altra è comprendere in
che modo le emozioni positive influiscono sul resto del corpo. Come per gli
studi sul cervello, la parola felicità è troppo vasta per un approccio rigoroso
e così i ricercatori tendono a concentrare la loro attenzione su aspetti
specifici.
Laura Kubzansky, psicologa di Harvard, ha scelto di studiare l'ottimismo. In un
vasto studio ha seguito 1.300 uomini per 10 anni e ha osservato che le
percentuali di cardiopatie insorte in quelli che si autodefinivano ottimisti
erano dimezzate rispetto a quelle di coloro che non si definivano felici.
«L'effetto si è rivelato molto più evidente di quanto ci aspettassimo» sostiene
la studiosa, radicale come la differenza tra fumatori e non fumatori. «Abbiamo
osservato anche la funzione polmonare, poiché una funzione polmonare scarsa è un
buon indicatore di tutta una serie di esiti infausti, tra cui morte prematura,
malattia cardiovascolare e malattia polmonare cronica ostruttiva». Anche lì gli
ottimisti stavano decisamente meglio. «Io sono un'ottimista» afferma Kubzansky
«ma non mi aspettavo simili risultati».
In una serie di esperimenti iniziati nel 1998, lo psicologo Robert Emmons
dell'Università della California di Davis ha trovato altre prove del fatto che
le persone felici si mantengono meglio in salute. Emmons ha suddiviso in modo
del tutto casuale mille adulti in tre gruppi; al primo è stato chiesto di tenere
un diario quotidiano dei propri stati d'animo; i soggetti del secondo gruppo
tenevano un diario nel quale annotavano le cose che li avevano irritati o
infastiditi di più durante il giorno. Il terzo gruppo scriveva un diario dove vi
annotava ogni giorno le cose per cui le persone si sentivano grate. Nonostante
la suddivisione casuale dei gruppi, l'ultimo non soltanto ha registrato un netto
miglioramento rispetto agli altri gruppi in termini di benessere generico, ma
faceva più esercizi fisici e si prendeva più cura della propria salute.
In generale, il gruppo della “gratitudine” si comportava in modo da garantirsi
uno stato di salute migliore. “In breve, tenere il diario ha contribuito al
benessere fisico ed emotivo di quelle persone. La gente che si sente piena di
gratitudine tende a percepire il proprio corpo in un certo modo”, dice Emmons.
“Sente la vita come un dono; la salute come un dono. E così vuole fare qualcosa
per conservarlo”.
© 2005 Time Magazine Inc. February 7 2005
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