Cosa pensano gli esperti
"...non dobbiamo lasciare l’educazione emozionale al caso, ma
adottare corsi innovativi a scuola, che insegnino l’autocontrollo,
l’autoconsapevolezza, l’empatia, l’ascolto e la cooperazione. E’
necessaria quindi una vera e propria “alfabetizzazione emozionale”
che porti i bambini a vivere con intelligenza le proprie emozioni”
.
…
Poiché a moltissimi giovani il contesto familiare non offre più un
punto d'appoggio sicuro nella vita, le scuole restano il solo
istituto al quale la comunità può rivolgersi per correggere le
carenze di competenza emozionale e sociale dei ragazzi… poiché quasi
tutti i bambini vanno a scuola, almeno all'inizio, la scuola è un
luogo che permette di raggiungere ognuno di essi e di fornirgli
lezioni fondamentali per la vita che, altrimenti, non potrebbe mai
ricevere”
Daniel Goleman - INTELLIGENZA EMOTIVA
"Oggi
è proprio la neuroscienza che sostiene la necessità
di prendere molto seriamente le
emozioni. Le nuove scoperte scientifiche sono incoraggianti. Ci
assicurano che se cercheremo di aumentare l'autoconsapevolezza, di
controllare più efficacemente i nostri sentimenti negativi, di
conservare il nostro ottimismo, di essere perseveranti nonostante le
frustrazioni, di aumentare le nostre capacità di essere empatici e
di curarci degli altri, di cooperare e di stabilire legami sociali -
in altre parole, se presteremo attenzione in modo più sistematico
all'intelligenza emotiva - potremo sperare in un futuro più
sereno."
Daniel Goleman - INTELLIGENZA EMOTIVA
"… I nostri studi dimostrano che i figli emotivamente allenati
ottengono migliori risultati a scuola, stanno meglio in salute e
stabiliscono relazioni più positive con i coetanei. Hanno anche
minori problemi di comportamento, e riescono a recuperare più
rapidamente dopo esperienze negative. L'intelligenza emotiva che
hanno acquisito permette loro di essere più preparati ad affrontare
i rischi e le sfide che li attendono nella vita."
John Gottman e Joan Declaire - INTELLIGENZA EMOTIVA PER UN FIGLIO
“La pratica quotidiano dimostra che l'insegnante ha, da sempre, un
ruolo fondamentale nel gestire e nell'insegnare a gestire le
Emozioni dei ragazzi. È dunque di primordiale importanza seguire
dalla prima infanzia, poi durante tutto il corso della scolarità, lo
sviluppo del ragazzo ed aiutarlo ad affrontare le difficoltà, a
guidarlo nella gestione delle sue Emozioni, per arrivare ad un
equilibrio tra la mente razionale e la mente emotiva”
J.Castex (2000) – INTELLIGENZA EMOTIVA E SCUOLA in
www.janinecastex.com (scaricato il 15-6-2002)
“Il profilo ottimale dei programmi di alfabetizzazione emozionale è
di iniziare presto, di essere adeguati all'età, di essere svolti in
ogni anno scolastico e di coordinare gli sforzi a scuola, a casa e
nella comunità.”
M.J.Elias, L.Hunter e J.S.Kress (1997) – EMOTIONAL INTELLIGENCE
AND EDUCATION in “Emotional development tand emotional intelligence
– Ed.by P.Salovey and D.Sluyter, Basic Book
"Insegnare l'alfabeto delle emozioni per aiutare i ragazzi a
diventare giovani uomini equilibrati e sereni….. la capacità di
leggere e comprendere le proprie emozioni e quelle degli altri.
Questo processo e’ molto simile a quello nel corso del quale si
impara a leggere….. Analogamente, l'alfabetizzazione emotiva
comporta il riconoscimento dell'aspetto e delle sensazioni associati
alle nostre emozioni, e in un secondo tempo l'uso di tali abilità
per comprendere meglio noi stessi e gli altri. Impariamo così ad
apprezzare la complessità della vita emotiva e questo migliora le
nostre relazioni personali e professionali, aiutandoci a rafforzare
i legami che arricchiscono la nostra vita."
Dan Kindlon e Michael Thompson - INTELLIGENZA EMOTIVA PER UN BAMBINO
CHE DIVENTERA' UOMO
L’alfabetizzazione emotiva: il primo passo
Come
non è pensabile e non si pretende che un bambino impari a leggere
correttamente e speditamente e a comprendere pienamente il senso di
tutto ciò che legge in un solo anno, così non e’ pensabile e non si
può pretendere che un bambino diventi emotivamente competente
attraverso una sola esperienza educativa in tale direzione. E come
l’apprendimento della lettura è un processo, così è un processo
acquisire la capacità di leggere e comprendere le proprie
emozioni e quelle degli altri, che richiede allenamento continuo
finché non diventa un’abilità automatica, come la lettura.
E’ un processo che ha inizio con la nascita e dovrebbe entrare a far
parte, a pieno titolo, nella Scuola, come percorso educativo
trasversale, come base comune ad ogni disciplina, a partire dal Nido
e almeno fino al completamento della Scuola dell’obbligo, dalla
nascita alla prima adolescenza come minimo.
Oggi questo è solo un Augurio e un Sogno, ma sarà certamente la
realtà della Scuola del nostro futuro.
Attendere che questo augurio e questo sogno diventino una realtà
però non basta. E’ necessario operare da subito , dentro e fuori
della Scuola, perché Maestri, Insegnanti e Genitori avviino
consapevolmente un cambiamento nel Sistema Educativo Italiano,
partendo dalla realtà locale nella quale sono presenti , in modo
che, nel tempo, ciò che oggi avviene sporadicamente e in
qualche isola felice , sia diffuso ad ogni livello della
Scuola e in modo sistematico e professionale.
L’analfabetismo emotivo
-
*
mancanza di consapevolezza e quindi di controllo e di gestione delle
proprie emozioni e dei comportamenti ad esse connessi * mancanza di
consapevolezza delle ragioni per le quali ci si sente in un certo
modo * incapacità a relazionarsi con le emozioni altrui - non
riconosciute e non rispettate – e con i comportamenti che da esse
scaturiscono
–
è diffuso, infatti, nei bambini, nei ragazzi e nei giovani che
studiano, a prescindere dal loro quoziente di intelligenza, e nei
giovani che lavorano e negli adulti, anche a prescindere dalla
professione esercitata e dal livello culturale raggiunto.
Quale tipo di essere umano voglio che prenda forma attraverso il mio
intervento educativo?
“Cosa sono le
Emozioni? Quello che provo io
lo provano anche i “grandi”? Se ho paura, sono triste, arrabbiato,
allora sono “cattivo”, “la mamma e il papà non mi vogliono più
bene”? Non so cosa mi succede, non so come si chiama quello che
provo, non so cosa fare con quello che mi accade.”
Questo è un esempio di dialogo interiore che i bambini in cuor loro
fanno e che non sempre hanno il coraggio di fare agli adulti, ma con
cui gli adulti che hanno a cuore i bambini è bene che facciano i
conti, al più presto.
Perché un adulto si ponga in modo corretto dinanzi al mondo
interiore delle
emozioni del bambino, è bene
che interiorizzi un concetto, a prima vista ovvio e banale,
ma che non è ancora entrato nel pensare comune e per questo non si
traduce, nel quotidiano dell’adulto, in comportamenti coerenti e
congruenti con questo pensiero stesso: “UN BAMBINO TANTO PIÙ È
PICCOLO, TANTA MENO ESPERIENZA HA DEL MONDO E DELLE REAZIONI EMOTIVE
AD ESSO”
Ad esempio un bambino di quattro anni ha solo quattro anni di
esperienza, SOLO 4 e per giunta le sue esperienze e le sue reazioni
emotive sono legate ad un ambiente molto circoscritto –
essenzialmente la famiglia – e, quando la frequenta, la Scuola
dell’Infanzia. Le esperienze fuori dalla famiglia sono molto
limitate.
Confrontiamo adesso le sue esperienze di soli 4 anni con quella di
un adulto – un genitore ad esempio – che ne abbia 28, che si muove
autonomamente nel mondo e che, oltre alla famiglia che ha formato,
ha una famiglia di origine, un lavoro, degli amici, frequenta gruppi
(palestra, parrocchia, partiti, sindacati, club, associazioni…) che
lo hanno, nel “bene” e nel “male”, stimolato
emozionalmente: il rapporto è di 1 a 7.
Il genitore – ma potrebbe trattarsi dell'insegnante o
di un altro adulto – in questo caso ha un’esperienza
emotiva sette volte superiore a quella del bambino: eppure
spessissimo, fatte salve le eccezioni, dimentica
· che il bambino sta sperimentando per le prime volte, o
addirittura per la prima volta, quello che si muove emotivamente
dentro di lui;
· che il bambino non sa dare un nome a quello che prova e
che questo fatto crea in lui un grande disagio “Fornire ai figli
le parole può aiutarli a trasformare una sensazione amorfa,
raccapricciante e sgradevole in qualcosa di definibile, e quindi con
confini ben precisi, come ogni altro normale elemento all’interno
della vita quotidiana… Studi specifici indicano che l’atto di dare
un nome alle
emozioni ha di per sé
un effetto rasserenante sul sistema nervoso, e aiuta i ragazzi a
recuperare più in fretta dalle situazioni di turbamento.” John
Gottman – INTELLIGENZA EMOTIVA PER UN FIGLIO;
· che il bambino non sa come si gestisce, come si controlla,
come si supera tutto ciò che il suo corpo sta vivendo e che sta
facendo vibrare il suo cuore;
· che il bambino si trova smarrito, ansioso, preoccupato di
fronte alla vita che scorre dentro di lui, anche quando a scorrere
sono
emozioni che gli danno piacere e
lo fanno star bene, se sono nuove e/o forti.
Nel bambino si trovano con-fusi, mescolati
· l’emozione che prova,
· i suoi comportamenti,
· le sue intenzioni,
· i suoi bisogni
e quando l’adulto – genitore , insegnante o altro che sia –
LO RIMPROVERA IN TOTO
(è la cosa più frequente che un adulto fa, indipendentemente da
quanto ami il bambino!!!)
SEI disobbediente ! SEI prepotente !
SEI cattivo !
il bambino sente il rimprovero non solo per il comportamento
scorretto,
MA ANCHE
· per ciò che egli prova,
· per le intenzioni e i bisogni buoni che c’erano dietro il
suo comportamento scorretto
· per se stesso nella sua globalità e interezza.
E la confusione, l’incertezza, l’ansia si rafforzano.
La relazione e la comunicazione con l’adulto diventano sempre più
problematiche e difficili…
Un siffatto comportamento da parte dell’adulto che pure ama il
bambino e sta agendo con le migliori intenzioni di questo mondo,
inconsapevole degli effetti del suo agire, nasce da quello che è
stato definito "analfabetismo emotivo”
e che prescinde dal quoziente intellettivo, dalla cultura, dallo
stato sociale, dal lavoro svolto.
Per rendere ancora più chiaro il concetto di sviluppo dell’intelligenza
emotiva, semplificando molto e focalizzandoci soltanto
sui primi passi di questo sviluppo, possiamo dire che siamo
“emotivamente competenti” – siamo cioè emotivamente
alfabetizzati e abbiamo avviato il processo dello sviluppo
dell’intelligenza emotiva – quando:
· conosciamo noi stessi;
· siamo consapevoli delle nostre emozioni nel momento in cui
si presentano;
· sappiamo darvi un nome;
· sappiamo accettare pienamente i nostri sentimenti e le
nostre emozioni;
· sappiamo comprendere le situazioni e le reazioni che i
diversi stati emotivi producono;
· siamo capaci di controllare i sentimenti in modo che essi
siano appropriati alla situazione;
· siamo capaci di empatia, capaci cioè di riconoscerle negli
altri e di saperci relazionare con esse in modo efficace;
· siamo consapevoli delle nostre risorse e siamo capaci di
accedervi per superare gli ostacoli;
· siamo consapevoli dei nostri limiti e ci attiviamo per
superarli;
· abbiamo fiducia nelle nostre e nelle altrui potenzialità;
· siamo capaci di percepire il nostro valore e le nostre
capacità;
· siamo flessibili di fronte al cambiamento e ci adattiamo
alle nuove situazioni;
· sappiamo motivarci e abbiamo ottimismo e prontezza nel
cogliere le occasioni.
Abbiamo dato uno sguardo fin qui al rapporto adulto-bambino.
Seguiamo adesso la crescita di questo bambino che ha un siffatto
rapporto con l’adulto, finché non arrivi all’adolescenza e
chiediamoci:
ci si può meravigliare se nei giovani giunti all’’adolescenza – il
periodo sicuramente più complesso e difficile per ogni essere umano,
la cui durata sta sempre più prolungandosi in fasce di età definite
adulte, in tempi non lontani – assistiamo a disagi, sbandamenti e
conflitti che sono di gran lunga più profondi e gravi di quelli che
gli adolescenti vivevano cinquant’anni fa?
I bambini e i giovani hanno da sempre imparato e continuano ad
imparare il modo di relazionarsi con gli altri attraverso la
relazione interpersonale quotidiana con gli adulti con i quali
vivono e interagiscono, oppure con i loro coetanei. Fino a non molto
tempo indietro, i bambini partecipavano alla vita degli adulti molto
più di quanto non accada oggi: li osservavano nel loro lavoro e
talora vi partecipavano anche; condividevano con loro, nel bene e
nel male, tutti gli eventi familiari, nascite e morti comprese; i
più grandi si prendevano cura dei più piccoli, svolgendo le veci dei
genitori. Oppure giocavano nei cortili sotto casa o nei campi per
pomeriggi interi, con altri bambini, sia più piccoli che più grandi
di loro.
Adesso, invece:
· acquisiscono un’ enorme massa di informazioni ad una
velocità elevatissima attraverso i tanti strumenti informatici a
loro disposizione, ma hanno scarsi rapporti interpersonali, di
persona. Sicuramente via internet – chat, e-mail – forum –
social network – via cellulare hanno una mole incredibile di
contatti che le generazioni precedenti non si sognavano neppure, ma,
a differenza di quelle, i bambini e i giovani di oggi si
sperimentano sempre meno nei rapporti “gomito a gomito”, di
vicinanza umana in cui imparare a stare insieme agli altri, con
tutte le sfide che questo comporta.
· Non vivono più la vita insieme agli adulti, dai quali
imparavano a fare attraverso l’osservazione, la vicinanza,
l’imitazione, ma vanno a lezione per imparare a fare delle cose:
spesso non sanno in cosa consiste il lavoro dei propri genitori e
sicuramente la maggior parte di loro non ha mai visto papà o mamma
nel luogo di lavoro; spesso sono figli unici e non si trovano nelle
condizioni di doversi prendere cura di qualcuno;spesso sono tenuti
lontani dalla condivisione di quegli eventi naturali della vita,
come la morte, per un eccessivo senso di protezione da parte dei
loro genitori.
· Vivono sempre meno relazioni interpersonali libere, e
sempre più invece relazioni finalizzate all’apprendimento di
specifiche competenze intellettuali o fisiche: con l’allenatore di
calcio o di nuoto o di arti marziali, ecc…, con la maestra di danza
o di pianoforte, ecc…, con l’insegnate di matematica o di latino,
ecc...
Questa mancanza di relazione e di vita insieme rischia di far
dilagare un analfabetismo emotivo pericoloso ai fini di una vita
di qualità.
"... I nostri studi dimostrano che i figli emotivamente allenati
ottengono migliori risultati a scuola, stanno meglio in salute e
stabiliscono relazioni più positive con i coetanei. Hanno anche
minori problemi di comportamento, e riescono a recuperare più
rapidamente dopo esperienze negative. L'intelligenza emotiva che
hanno acquisito permette loro di essere più preparati ad affrontare
i rischi e le sfide che li attendono nella vita."
John Gottman e Joan Declaire - INTELLIGENZA EMOTIVA PER UN FIGLIO
“Le difficoltà della vita di relazione, in particolare nei giovani,
sono un fattore che scatena la depressione.
... Spesso i bambini e gli adolescenti depressi non sono capaci – o
non sono disposti – a parlare della loro tristezza. Non sembrano in
grado di definire con accuratezza i propri sentimenti e manifestano
invece sorda irritazione, impazienza, nervosismo e rabbia...”
Daniel Goleman - INTELLIGENZA EMOTIVA
Come non è pensabile e non si pretende che un bambino impari a
leggere correttamente e speditamente e a comprendere pienamente il
senso di tutto ciò che legge in un solo anno, così non è
pensabile e non si può pretendere che un bambino diventi
emotivamente competente attraverso una sola esperienza educativa in
tale direzione. E come l’apprendimento della lettura è un
processo …
“… impadronirsi delle lettere e dei suoni dell’alfabeto,
decodificare parole e frasi, comprendere e apprezzare parole e frasi
sempre più complessi, dialogare con un mondo di esperienze e di idee
più vasto, che si estende al di là del nostro”
Dan Kindlon, Michael Thompson –
INTELLIGENZA EMOTIVA PER UN BAMBINO CHE DIVENTERÀ UOMO
così il comprendere le proprie emozioni e quelle degli altri è un
processo che richiede allenamento continuo finché non diventa
un’abilità automatica, come la lettura.
E’ un processo che ha inizio con la nascita e dovrebbe entrare a far
parte, a pieno titolo, nella Scuola, come percorso educativo
trasversale, come base comune ad ogni disciplina, a partire dal Nido
e almeno fino al completamento della Scuola dell’obbligo, dalla
nascita alla prima adolescenza come minimo.
La formazione degli Insegnanti e degli Educatori
Ma, per potere far sviluppare l’intelligenza emotiva del bambino e
dell’adolescente, gli Insegnanti e gli Educatori devono loro stessi
avere sviluppato la propria, devono avere seguito una formazione
specifica (dal momento che non è ancora presente nel loro iter
formativo professionale) e devono avere acquisito gli strumenti
necessari per insegnare “cosa e come fare” per sviluppare i
diversi aspetti dell’Intelligenza emotiva nei propri allievi.
E tra tutti gli strumenti quello fondamentale, quello più importante
è l’EDUCATORE EMOTIVAMENTE INTELLIGENTE, sia egli insegnante,
educatore, genitore o altra figura a questi equiparabile:
“Che ci sia o meno un corso esplicitamente dedicato
all'alfabetizzazione emotiva può essere molto meno importante del
modo in cui queste lezioni vengono insegnate. Non c'è forse materia
come questa nella quale la qualità degli insegnanti conti così
tanto; il modo in cui un insegnante gestisce la classe è infatti in
se stesso un modello, una lezione di fatto, di competenza emozionale
o della sua mancanza. Ogni atteggiamento di un insegnante nei
confronti di un allievo è una lezione rivolta ad altri venti o
trenta studenti.
Non tutti gli insegnanti, per il loro carattere, sono portati a
insegnare le Emozioni, poiché è necessario sentirsi a proprio agio
nel parlare dei propri sentimenti e non tutti lo sono né vogliono
esserlo … Poco o nulla nella formazione consueta degli insegnanti li
prepara a questo genere di insegnamento.”
Daniel Goleman – INTELLIGENZA EMOTIVA
Come per il bambino e l'adolescente, anche per l’Adulto tutto ciò
non avviene, però, in un giorno, attraverso una sola esperienza
formativa: sviluppare l’Intelligenza Emotiva e le proprie Risorse
fa parte di un processo, di un per-corso, che richiede allenamento
continuo, finché non diventa un’abilità automatica, come la
lettura, che con l’esercizio si perfeziona e si arricchisce sempre
più fino a consentirci di apprezzare sottigliezze, sfumature e
complessità impensabili all’inizio della nostra alfabetizzazione
emotiva.
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